Scrivere su WhatsApp è una pratica comune, che tutti usiamo fare ogni giorno. Ma attenzione perché inviare un messaggio “sbagliato” può causare molti guai.
I social network, la messaggistica istantanea, le email e tutto ciò che è digitale è diventato parte integrante della nostra vita.
Ormai le comunicazioni di ogni genere si snodano tramite cellulare e internet. In alcuni casi, però, esiste un vero e proprio “abuso” di questi strumenti. Pensiamo alla “dipendenza” proprio da social. Molti studi hanno confermato che il cervello – da quando si usano massicciamente device digitali – ha persino “cambiato struttura”. Tant’è che però la nostra comunicazione si è evoluta così, e poco ci possiamo fare. Anzi, qualcosa potremmo, in realtà. Stare molto attenti. Perché inviare o pubblicare dichiarazioni sbagliate può costare davvero caro. In questo articolo parleremo delle chat su WhatsApp tra colleghi di lavoro.
Praticamente tutti (o quasi) facciamo parte di qualche gruppo WhatsApp. Volenti o nolenti, ci tocca. I gruppi sono amati e odiati, da genitori, dai lavoratori, e anche dagli studenti. Ma sono necessari per scambiarsi informazioni più velocemente. C’è poi da dire che esistono gruppi “formali” e gruppi “di svago”. Alla fine, altri non è che l’evoluzione, rispettivamente, delle riunioni e delle “chiacchiere di corridoio”. Il fatto è, però, che rispetto a quando veniva usata solamente “la parola”, oggi scripta manent, ovvero ciò che hai scritto rimane visualizzabile. Condivisibile. Sceenshottabile.
La nuova modalità di comunicazione è entrata così velocemente nella vita quotidiana che per molto tempo è rimasta in un limbo, senza normativa giuridica costruita ad hoc. Oggi fortunatamente la Legge prevede sanzioni pesantissime – e anche il carcere – a chi viola la privacy diffondendo messaggi, video oppure audio senza il consenso del soggetto interessato. Ma i pericoli arrivano anche da un messaggio “raccontato”, e possono essere molto dannosi.
Come sappiamo, fare uno screenshot di una conversazione privata e diffonderlo è praticamente reato. Ma chi spera di “infamare” il datore di lavoro o i colleghi su WhatsApp e di passarla liscia si sbaglia di grosso. In ballo, c’è anche il licenziamento per giusta causa. La questione è venuta alla ribalta a causa di un dipendente che ha subito sanzioni da parte del “capo” a causa delle sue affermazioni offensive proprio in una chat di WhatsApp. Il Tar della Sardegna, recentemente ha ritenuto “lecita la punizione di un dipendente pubblico ritenuto responsabile di aver parlato male dei capi in una chat di colleghi“.
Può sembrare strano, perché in realtà la chat in questione era uno scambio privato, e le “offese” non sono state diffuse sui social. Rimaneva una conversazione tra colleghi. Dunque perché il dipendente che ha parlato male del datore di lavoro è stato punito? La sentenza ha considerato che nonostante la natura della conversazione sia privata, non vige nessun divieto di “raccontarla”. In pratica, se uno o più interlocutori del gruppo WhatsApp decidono di “fare la spia”, anche senza mostrare la chat, non compie reato.
Raccontando l’accaduto, dunque, chi ha parlato male del capo ha subito la sua punizione. La Legge prevede che questa può essere più grave a seconda di quanto le parole usate siano state offensive o diffamanti. Quindi attenzione a “sparlare” degli altri in chat. Qualcuno con la “lingua lunga” è sempre presente tra i colleghi, e a perdere il lavoro basta un clic.
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