Gli assegni familiari spettano anche agli extracomunitari i cui familiari si trovano nel Paese d’origine? La risposta della Corte Costituzionale.
La Corte Costituzionale ha precisato le regole applicabili agli extracomunitari in tema di assegni familiari. La Consulta, infatti, ha recepito due sentenze della Corte di Giustizia Europea riguardanti la parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri, in merito all’assegno familiare per i familiari.
I cittadini extracomunitari, muniti di regolare permesso di soggiorno di lungo periodo o di permesso unico di soggiorno e lavoro, possono percepire l‘assegno per il nucleo familiare (Anf), anche se i propri familiari si trovano nel Paese d’origine. La disciplina prevedeva già questo diritto per i soli cittadini italiani con moglie e figli residenti all’estero. Questa discriminazione, però, ledeva i principi fondamentali del diritto dell’Unione Europea.
Con la sentenza n. 67/2022, la Corte Costituzionale ha stabilito che il giudice nazionale ha l’obbligo di disapplicare la norma interna che risulti in contrasto con il diritto comunitario.
La questione ha coinvolto due cittadini extracomunitari, uno pakistano ed uno cingalese. Entrambi avevano regolare permesso di lungo soggiorno e permesso unico di soggiorno e lavoro; l’INPS, tuttavia, aveva loro negato il versamento degli assegni familiari, per il periodo in cui i loro cari erano ritornati nei rispettivi Stati d’origine.
Secondo la normativa italiana, infatti, “non fanno parte del nucleo familiare il coniuge, i figli ed equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che lo Stato di cui lo straniero è cittadino riservi un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia“.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (con le sentenze 302 e 303 del 25 novembre 2020) aveva già multato l’Italia per violazioni del diritto comunitario in materia.
Secondo la direttiva 2003/109, infatti, i Paesi membri possono stabilire, con proprie norme interne, i requisiti per usufruire delle prestazioni economiche (tra cui l’ANF), i rispettivi importi e i periodi di spettanza, ma, allo stesso tempo, devono garantire il rispetto il principio di parità di trattamento tra i cittadini nazionali e stranieri. L’Italia, inoltre, aveva precedentemente recepito la direttiva.
La Corte di Giustizia Europea ha sancito la contrarietà della disciplina italiana al principio di uguaglianza espresso dalle direttive 2011/98 e 2003/109, nell’ipotesi in cui vietava ai cittadini extracomunitari, muniti di permesso unico o soggiorno di lunga durata, il diritto agli Anf, nel caso in cui i familiari non risiedessero nello Stato. La disparità di trattamento con i cittadini italiani, infatti, era evidente perché, nei confronti di questi ultimi, tale diritto era, invece, riconosciuto.
Nonostante il richiamo da parte dell’UE, la legge italiana non ha adottato soluzioni efficaci per assicurare un effettivo rispetto del principio di uguaglianza. Per tale motivo, la Corte di Cassazione ha adito la Consulta per chiedere se la decisione della Corte Europea avesse efficacia diretta per il giudice nazionale. Se, insomma, di fronte ad una palese violazione della disciplina europea da parte di una legge italiana, il giudice dovesse disapplicare quest’ultima o dovesse sollevare la questione di incostituzionalità.
La Consulta ha statuito per la prima ipotesi, prevedendo l’obbligo per il giudice di rimuovere eventuali effetti discriminatori. Il giudice nazionale, dunque, deve applicare direttamente la decisione della Corte Europea, senza attendere la pronuncia d’incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale.
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