Non è raro di questi tempi ritrovarsi col conto corrente in rosso. Stiamo attraversando un periodo storico difficile. Ma forse siamo più felici.
Basta pensare un attimo al primo lockdown avvenuto a marzo 2020 e di lì i ricordi si susseguono velocemente. In un attimo, anche se allora non ce ne siamo resi conto subito, il mondo è cambiato. L’evento epocale che ha investito i popoli in ogni angolo del globo ha portato tanti problemi. Economici e sociali. Insieme a essi, però, è arrivata anche una nuova consapevolezza.
Probabilmente a qualcuno è rimasto impresso il fatto che tanti, dopo la pandemia, hanno lasciato il posto di lavoro. Detta così sembra follia. Senza uno stipendio come si fa a vivere? Chi nella sua esperienza ha affrontato problemi economici sa bene di cosa stiamo parlando. Si perde il sonno, a forza di pensare a come pagare le bollette, a comprare tutte le cose che servono ai figli, a mantenere beni e oggetti che possediamo. Ma a volte avere poco è una grande ricchezza.
Pensiamo alla parola “benestanti”. Solitamente la usiamo nei confronti di persone “ricche”, che hanno un lavoro remunerativo, una bella casa, magari una macchina di lusso, che possono girare il mondo. Perché nell’immaginario collettivo basta avere tanti soldi, per poter fare tutto quello che ci piace.
In realtà, chi “combatte” con le bollette a fine mese, chi non può acquistare tutte le cose innovative che sbucano da ogni dove, chi deve fare “rinunce”, spesso è più felice dei “benestanti”. Certo non si può e non si deve generalizzare. Che i soldi non facciano la felicità è un detto che arriva dal passato. Ma contiene un fondo di verità.
Spesso chi ha tanto denaro a disposizione matura in sé una sorta di “disprezzo” verso chi non è al suo livello. Perde la gioia delle cose semplici, quelle più belle, che sono disponibili per tutti, gratis. L’affetto, la bellezza della natura, la magia di uno sguardo innamorato, di un ringraziamento per la vita, sono tutte cose che si vivono con l’anima. E l’anima non ha necessità di un abito di lusso.
Certo, viviamo in una società dove per forza di cose dobbiamo produrre un reddito per assicurarci i beni necessari. Ma al di là di questo, tutto il resto ce lo conquistiamo con l’amore.
La pandemia, in questo senso, ha restituito a molti di noi la consapevolezza che “tutto quel correre” non ci stava portando da nessuna parte. Chiusi in casa, abbiamo (ri)scoperto che la vera fortuna fosse quella di avere accanto a noi i doni più preziosi: i figli, il compagno o la compagna, gli amici. E sopra ogni altra cosa, il tempo per viverli.
Ecco che il denaro, un mezzo paradossale che serve solo quando ce ne priviamo, cambia il significato della vita a seconda di come viene interpretato. Chi accumula denaro o chi sa che può averne in gran quantità, spesso regredisce umanamente ad un livello egoistico e individualista. Subentrano “paranoia e ansia da separazione”, perché al denaro si associa un benessere e dunque questo denaro deve essere sempre di più per stare sempre meglio.
Chi ha il conto corrente in rosso deve usare per forza di cose la creatività, l’energia più potente insieme all’amore. Dunque è in grado di trovare le risorse, e di vivere sensazioni che i “poveri dentro” non possono comprendere. Il denaro acceca, svuota, e non restituisce niente. Vale davvero la pena fermarsi ancora un attimo, e pensare che forse non è tutto perduto, forse possiamo davvero diventare (o ritornare) migliori.
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