I lavoratori vicini alla pensione possono gioire dopo la conferma dell’INPS della possibilità di lasciare il mondo del lavoro a 63/64 anni nel 2023.
I costi per le casse dello Stato non sono eccessivi, ecco la conclusione dell’INPS che sorprende i lavoratori.
La riforma delle pensioni tanto attesa sta, finalmente, lasciando intravedere delle serie possibilità a favore dei lavoratori. Finora l’ipotesi di un abbassamento dell’età pensionabile è stata scartata perché troppo dispendiosa per le casse dello Stato. Ora l’INPS ribalta la situazione garantendo la sostenibilità di tre misure flessibili che risulterebbero alquanto gradite a tanti cittadini. Uscire prima dal mondo del lavoro significherebbe lasciare più spazio ai giovani e concedere ai sessantenni il meritato riposo dopo una vita di spostamenti, sacrifici e duro lavoro. L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, dunque, ha aperto la finestra su un nuovo orizzonte ma la decisione finale spetta al Governo mentre i lavoratori congiungono le mani.
Sembrerebbe essere al vaglio del Governo la possibilità di concedere il pensionamento a 63 o 64 anni. Tale misura si andrebbe ad affiancare ad una conferma dell’APE Sociale e di Opzione Donna ma siamo ancora lontani dalla certezza che tutto questo accadrà. Ci muoviamo ancora nel mondo delle ipotesi ma, fortunatamente, sembrano ipotesi migliori rispetto a quelle di poche settimane fa.
Il Rapporto Annulale dell’INPS ha stimato un costo di pochi miliardi di euro per sostenere le misure citate. Parliamo di una cifra che non inciderebbe sulla stabilità del sistema pensionistico e che sarebbe sufficiente per allontanare definitivamente l’ombra del ritorno della Legge Fornero. Resta il fatto che anticipando la pensione occorrerà accettare un ridimensionamento dell’assegno pensionistico.
L’opzione contributiva della pensione anticipata consente di andare oggi in pensione con 64 anni di età. La formula è riservata ai lavoratori che hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 e che possiedono minimo 20 anni di contributi. Condizione indiscutibile è l’assegno pari o superiore a 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale (468,11 euro per il 2022). L’INPS propone la riduzione a 2,2 volte per ampliare la platea dei beneficiari. Rientrerebbero, dunque, tutti i lavoratori che hanno raggiunto un’importo della pensione pari o superiore a 1.029,842 euro.
Una seconda opzione coinvolgerebbe i lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 1° gennaio 1996, che hanno 64 anno e 35 anni di contributi alle spalle. L’importo minimo della pensione dovrà essere di 2,2 volte l’assegno sociale ma il calcolo dovrà fare riferimento unicamente al metodo contributivo. La quota risulterebbe ridotta di un fattore equivalente al rapporto tra il coefficiente di trasformazione relativo all’età di pensionamento e il coefficiente relativo all’età della vecchiaia. La stima è di un taglio annuale del 3% che sarebbe, dunque, del 9% uscendo tre anni prima dal mondo del lavoro (64 anni invece di 67).
La terza opzione per i lavoratori prossimi alla pensione prevede l’uscita a 63 anni con 20 di contributi a condizione di avere la parte di pensione calcolata con metodo contributivo superiore a 1,2 volte l’assegno sociale. L’ipotesi, però, vede percepire inizialmente solamente la quota contributiva della pensione con la quota retributiva erogata con il raggiungimento dei 67 anni (pensione di vecchiaia).
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