La scadenza di Quota 102 pone il problema di garantire la pensione anticipata anche a coloro che hanno iniziato a versare contributi dopo il 1995.
La Riforma Fornero prevede delle enormi disparità tra i “contributivi puri” (coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995) ed i “misti”(coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1996).
I puri, infatti, possono accedere alla pensione già a 64 anni, se maturano un’anzianità contributiva di almeno 20 anni ed un assegno di importo non inferiore a 2,8 volte l’assegno sociale (tale soglia diminuisce a 1,5 volte al compimento dei 67 anni). Inoltre, i contributivi puri possono continuare a lavorare oltre tale limite d’età, se non hanno tutti i requisiti per la pensione anticipata ed, infine, a 71 anni possono interrompere la carriera lavorativa se hanno un’età contributiva di appena 5 anni.
I contributivi misti, invece, sono obbligati ad attendere i 67 anni e a maturare almeno 20 anni di versamenti previdenziali.
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Per capire la differenza tra lavoratori contributivi puri e misti, è utile riportare 3 esempi molto calzanti.
Per il biennio 2020-202, è stata sperimentata Quota 100, mentre, nel 2022, Quota 102. In entrambi i casi, i contributivi misti con 38 anni di contribuzione, potevano accedere alla pensione anticipata; nel primo caso al raggiungimento dei 62 anni d’età, nel secondo dei 64.
Dopo l’annuncio della mancata proroga di Quota 102, dunque, si attende l’intervento dell’Esecutivo per garantire nuove forme di flessibilità in uscita. I possibili scenari sono due; prevedono entrambi la possibilità per i misti di andare in pensione a 64 anni, con un’anzianità contributiva di almeno 35 anni ed un importo pari almeno a 2,2 volte l’assegno sociale. Inoltre, entrambe le ipotesi prevedono il ricalcolo interamente contributivo oppure l’intervento di un “correttore attuariale” sui coefficienti di trasformazione che agiscono sul calcolo della componente contributiva.
Il correttore risulta dal rapporto tra il coefficiente dei 67 anni e quello dell’età alla quale si vuole anticipare il pensionamento. Poiché il coefficiente diminuisce con l’età, il correttore, di conseguenza, penalizza chi vuole smettere di lavorare prima.
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Un altro metodo per quantificare l’importo della pensione è quello di individuare il correttore nella misura forfettaria del 3% per ogni anno di anticipo.
Il Rapporto INPS 2021 ha evidenziato i costi annui delle due proposte, fino al 2035. È emerso che i risparmi compensano i costi nel caso della seconda ipotesi, mentre li superano nella prima.
Infine, il Rapporto ribadisce la soluzione dell’INPS relativa alla flessibilità in uscita, che prevede una specie di pre‑pensionamento parziale. In pratica, suggerisce di anticipare solo la componente contributiva della pensione e di mantenere invariato il requisito dei 67 anni per la componente retributiva.
I progetti appena descritti hanno l’obiettivo di combattere le disparità tra misti e puri. Nello specifico, permettono a tutti i lavoratori di andare in pensione al compimento della stessa età anagrafica, purché sia rispettato lo stesso requisito economico.
Rimangono invariati, però, i presupposti legati all’anzianità contributiva della Legge Fornero. Rimane, infatti, il requisito dei 35 anni di contributi per i misti e dei 20 per i puri. Tale disparità, tuttavia, sembrerebbe motivata dal fatto che non avrebbe senso estendere a tutti il requisito dei 20 anni di contribuzione se rimane la soglia economica legata all’assegno sociale. Nella maggior parte dei casi, infatti, le contribuzioni tra i 20 ed i 35 anni, non riescono a raggiungere 2,2 volte l’assegno sociale.
Quanto finora detto non riguarda, invece, la pensione di anzianità, un istituto vigente solo in Italia. Se entrerà in vigore solo il sistema contributivo puro, si pensa che la sua durata superiore verrà compensata da coefficienti di trasformazione inferiori.
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