Legge Fornero contro tutti, le promesse di un addio nel 2023 non saranno con molta probabilità mantenute. A rimetterci i lavoratori.
Nel 2023 si andrà in pensione a 67 anni. Non è certo una certezza ma è l’unica previsione idonea tenendo conto di soldi e tempo.
La tanto attesa Riforma delle pensioni per “mandare in pensione” la Legge Fornero non ci sarà. Non è pessimismo, è realismo. Mancano i soldi, i tempi sono stretti e le idee delle forze politiche inconsistenti. Se il Governo non fosse caduto forse ci sarebbe stata la possibilità di un cambiamento ma, ora, ci sono le elezioni con la formazione di un nuovo esecutivo a rappresentare un ostacolo considerevole. In 138 giorni da oggi chiedere un’impresa – a chi poi? – è da pazzi così come è da illusi credere che le attuali proposte sul tavolo di lavoro siano realmente realizzabili. Mettere in atto in tre mesi interventi strutturali solidi che avrebbero un’influenza rilevante sulle casse dello Stato è impossibili. I lavoratori possono scendere dalle nuvole e riatterrare sulla Terra con l’idea che o si uscirà dal mondo del lavoro a 67 anni oppure si dovranno accettare i compromessi della pensione anticipata. Sperando che l’Ape Sociale e Opzione donna vengano prorogate.
I timori che la Legge Fornero continuerà a resistere agli attacchi si basano su varie considerazioni. Il poco tempo, come accennato, è il primo grande ostacolo. Poi ci sono i costi di un’impresa titanica considerando anche il fatto che tutte le pensioni da gennaio 2023 saranno oggetto di perequazione con percentuale tra il 7 e l’8%. Il Decreto Aiuti Bis si è fermato alla rivalutazione del 2% a causa della mancanza di risorse, come si può pensare che ci siano soldi a sufficienza per interventi strutturali tra pochi mesi?
Un’ulteriore considerazione riguarda la mancanza di solide alternative alla Legge Fornero. Anche se i partiti gridano a gran voce che l’addio ci sarà nessuno ha una proposta valida dal punto di vista economico. La Lega in primis annuncia l’addio alla Legge Fornero ma è lecito pensare che se anche il partito salisse al Governo nulla cambierebbe così come nel 2018, quando ha già avuto la possibilità di abrogarla.
La Lega propone in campagna elettorale Quota 41 per tutti. Un’altra volta una Quota, una soluzione ben diversa da quegli interventi strutturali flessibili richiesti dai lavoratori. Flessibilità dovrebbe essere la parola chiave di una riforma che non ci sarà. Il Governo Draghi stava lavorando alla flessibilità in uscita tenendo conto dei conti pubblici ma la guerra tra Russia e Ucraina e la crisi politica ha posto fine alle speranze dei cittadini.
Salvini parla di Quota 41, l’uscita dal lavoro con 41 anni di contributi con lo “sconto mamma” di un anno in meno a figlio. Poi aggiunge la pensione di vecchiaia a 63 anni per le donne con 20 anni di contributi; la pensione minima di mille euro per i giovani, il riscatto della laurea gratuito e la proroga di Opzione Donna e dell’Ape Sociale. Tutto bello, certo, ma sul piano della realizzazione? I costi troppo elevati non consentirebbero di attuare tutte queste misure.
Veri piani per il dopo Legge Fornero avanzati dai singoli partiti non ci sono ancora. Il centro destra parla di flessibilità e di ricambio generazionale con Berlusconi che vuole alzare la pensione minima a 1.000 euro così come gli stipendi. Giorgia Meloni vuole dare un taglio alle pensioni d’oro e detassare la quota della pensione dedicata a figli e nipoti. I Cinque stelle blaterano di pensioni a 63 o 64 anni, di riscatto della laurea, di ricalcoli contributivi ma una proposta scritta e solida non ha ancora visto la luce. Il PD, infine, assicura la proroga di Opzione Donna e dell’Ape Sociale e ipotizza una pensione di garanzia per i giovani e i lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 per evitare assegni troppo bassi.
Insomma, tanti bei buoni propositi ma le basi a supporto delle idee non ci sono. Non sarebbe più opportuno studiare un vero piano attuabile prima di fare promesse che non verranno mai mantenute, almeno per il momento?
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