Nelle prossime settimane il Fisco potrebbe effettuare dei controlli in relazione ai versamenti sul conto corrente di pensionati e dipendenti.
La Cassazione ha dichiarato la possibilità, da parte del Fisco, di controllare i conti corrente, per scovare eventuali irregolarità delle imposte sui redditi.
Nel caso in cui, su un determinato conto corrente, venga riscontrata una disponibilità economica superiore a quella abituale, l’intestatario è tenuto a provare che tutti i versamenti ed, in generale i movimenti di quel conto, non sono legati ad alcuna attività imponibile.
Di solito, si ritiene che i contribuenti maggiormente a rischio siano soprattutto i lavoratori autonomi, come imprenditori e professionisti. In realtà, la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n.18245/2022, ha rivoluzionato la disciplina dei controlli effettuabili da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
I giudici, infatti, hanno stabilito che anche i lavoratori dipendenti, i privati ed i pensionati hanno l’onere di motivare l’origine e la finalità dei versamenti sospetti, che non risultano tra i redditi dichiarati dal contribuente. Analizziamo, dunque, il caso specifico sottoposto all’attenzione della Suprema Corte ed il relativo provvedimento.
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La disciplina normativa in tema di accertamento bancario è quella prevista dall’art.32 del D.p.r n.600/1973. In esso è stabilito che il contribuente ha l’obbligo di fornire al Fisco i dati analitici e gli elementi riguardanti i propri conti correnti; tali informazioni, inoltre, fungono da onere della prova, nel caso di accertamenti. Si tratta, dunque, di un’inversione dell’onere della prova, che spetta all’intestatario del conto corrente.
In sintesi, tutti i movimenti bancari (cioè accrediti e addebiti) non indicati e non risultanti dalle scritture contabili sono coperti dalla presunzione legale che non facciano parte dell’ordinaria attività fiscale del contribuente. Per tale motivo, è quest’ultimo che deve fornire la prova contraria. Tale principio è stato introdotto, di recente, dalla Corte di Cassazione.
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Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione ha per oggetto un accertamento fiscale, compiuto su versamenti in conto corrente non debitamente motivati dall’intestatario. Per il Fisco, infatti, il contribuente aveva violato le disposizioni dell’art.32 del D.p.r n.600/1973. La Commissione tributaria di primo grado di Bolzano aveva rigettato il ricorso dell’interessato.
Attraverso l’Ordinanza n.18245/2022, tuttavia, gli Ermellini hanno confermato l’esistenza della presunzione legale che i versamenti su conto corrente non giustificati vanno imputati a reddito e sono posti alla base di rettifiche ed accertamenti. E la regola, inoltre, vale non solo per i lavoratori autonomi, ma anche per i dipendenti ed i pensionati.
La Corte ha ribadito la facoltà, per il contribuente, di fornire sempre la prova contraria nel giudizio di merito, necessaria per accertare la legittimità di qualunque versamento.
Nel caso specifico, per la Cassazione, le informazioni fornite dall’intestatario del conto corrente non erano valide; dunque, ha rigettato il ricorso del contribuente e ha qualificato i versamenti ingiustificati come un aumento del reddito.
L’ordinanza, quindi, stabilisce che le operazioni sul conto corrente comportano la presunzione di una maggiore disponibilità di reddito. Tale regola trova applicazione anche quando i versamenti sono effettuati da dipendenti, da privati e da pensionati. Ovviamente, è sempre ammessa la prova contraria, tramite una valida giustificazione.
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