La Cassazione ha stabilito cosa deve fare il lavoratore per ottenere i contributi non versati dal datore di lavoro e salvare, così, la pensione.
Il dipendente ha diritto ad ottenere la pensione anche nel caso in cui il datore di lavoro abbia omesso di versare i contributi previdenziali dovuti.
Tale garanzia, tuttavia, vale solo fino a quando i versamenti non vanno in prescrizione. A stabilire questo principio è stata la Corte di Cassazione, attraverso la sentenza n. 2164/2021. La decisione della Corte è un’applicazione della regola di automaticità delle prestazioni, sancita dal Codice Civile all’art. 2116, comma 1 ed, inoltre, ripetuto dalla Costituzione all’art. 38, comma 2, nell’ambito del diritto del lavoratore alla tutela previdenziale.
Analizziamo, dunque, nel dettaglio il provvedimento della Cassazione, con particolare attenzione al ragionamento seguito dai giudici.
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Il principio di automaticità delle prestazioni, racchiuso nell’art. 2116 , comma 1, del Codice Civile, statuisce che: “Le prestazioni indicate nell’art. 2114 sono dovute al prestatore di lavoro, anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali o delle norme corporative.”
La regola appena illustrata si applica solo nell’ipotesi in cui i contributi non siano andati in prescrizione (che, in tal caso, è bene sottolinearlo, è quinquennale). A stabilirlo è l’art. 40 della Legge del 30 aprile 1969, n. 153.
Inoltre, l’art. 3 della Legge 8 agosto 1995, n.335, ha introdotto la cd. irricevibilità dei contributi prescritti; essa consiste nell’impossibilità di pagare anche solo volontariamente i contributi all’INPS, allo scopo di poter raggiungere il diritto alla pensione.
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La sentenza della Corte di Cassazione n. 2164/2021 ha per oggetto un ricorso riguardante un caso di accredito di contributi non versati dal datore di lavoro. Precedentemente, però, la sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda presentata dalla lavoratrice interessata.
Nel caso analizzato dagli Ermellini, vengono in rilievo due situazioni distinte:
L’articolo 13 della Legge 12 agosto 1926, n. 1138, afferma che: “Il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’articolo 55 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria, che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.”
La Corte di Cassazione, dunque, ha chiarito che il diritto di chiedere la rendita vitalizia spetta al datore di lavoro che non ha versato i contributi previdenziali, necessari per la maturazione del diritto alla pensione, se è intervenuta la prescrizione. Tale diritto, poi, spetta al lavoratore solo quando non può più ottenere dal datore la costituzione della rendita in oggetto.
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