La Pace Contributiva serve per riempire i vuoti contributivi nella carriera di un lavoratore e assicurarsi l’uscita pensionistica nel momento opportuno.
Scopriamo cosa stabilisce la normativa in merito alla Pace Contributiva e al riscatto dei periodi in cui non sono stati versati i contributi.
Le carriere dei lavoratori non sono tutte uguali. C’è chi ha iniziato a lavorare in giovane età, chi ha atteso qualche anno a causa dello studio e chi non ha potuto contare su un lavoro stabile con contratto a tempo indeterminato. Tanti lavoratori, dunque, hanno la carriera costellata di “pause” occupazionali, periodi in cui non lavorando non si sono versati i contributi. E come tutti sappiamo, nel momento del pensionamento i contributi sono fondamentali sia per garantirsi l’uscita dal mondo del lavoro sia per il calcolo dell’assegno pensionistico. In caso di molteplici periodi di vuoto contributivo andare in pensione potrebbe, dunque, rivelarsi alquanto complicato. Fortunatamente in Italia è possibile recuperare il difetto avvalendosi di alcuni strumenti volti a riempire i vuoti. Un esempio è la Pace Contributiva introdotta nel 2019. Vediamo come funziona e se rappresenta lo sprint necessario per andare in pensione.
I lavoratori con la carriera lavorativa piena di periodi di assenza del versamento dei contributi hanno potuto colmare i vuoti grazie alla Pace Contributiva. Poniamo il caso di una persona con una lunga carriera costellata di interruzioni e pause, 38 anni di contributi maturati e l’età di 63 anni. Con l’aggiunta di pochi anni di contribuzione, il nostro lavoratore sarebbe potuto andare in pensione anticipata. Il limite, infatti, è di 42 anni e dieci mesi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne. Allo stesso modo potrebbero esserci persone che non riescono per pochi anni a raggiungere la soglia dei 20 anni di contributi necessarie per poter andare in pensione di vecchiaia a 67 anni.
Il vuoto contributivo sarebbe potuto essere stato riempito tramite la Pace Contributiva ma ne sarebbe valsa la pena? Riempire le interruzioni avrebbe significato, infatti, accettare di pagare un corrispettivo. Solo versando un onere di riscatto si sarebbero potuti colmare i buchi delle carriere aggiungendo contributi mai versati. La Pace Contributiva è stata introdotta, come detto, nel 2019 e consentiva di colmare massimo 5 anni di vuoti contributivi tra la prima assunzione e l’ultima. Perché abbiamo usato il condizionale e il tempo passato?
La Pace Contributiva è una misura introdotta nel 2019 valida per un triennio. Il 2021 è stato, dunque, l’ultimo anno della sua applicazione. Diversi lavoratori hanno potuto sfruttare lo strumento ma non tutti dato che beneficiari erano solamente coloro che hanno iniziato a versare i contributi dopo il 31 dicembre 1995. Oggi, la Pace Contributiva non esiste più e, purtroppo, per poter completare la carriera di contributi il lavoratore potrà scegliere tra riscatti più circoscritti.
Attualmente sono attivi i riscatti di un periodo in cui si è svolto un servizio socialmente utile, del periodo di studio all’università, dei periodi con contratto di lavoro co.co.co e di interruzione o sospensione dell’attività occupazionale (Decreto 564/96). Infine, il riscatto può essere legato alla costituzione di una rendita vitalizia, alla maternità al di fuori del rapporto di lavoro, a periodi di praticantato o di formazione professionale.
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