La legge 104/92 prevede il divieto di trasferimento per i lavoratori che assistono un familiare con disabilità grave.
L’articolo 33 comma 5 della legge 104 stabilisce inoltre la possibilità di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona che necessita di cure.
Quest’ultimo diritto però non è assoluto, infatti va bilanciato con le esigenze aziendali, come sottolineato proprio dell’inciso ‘ove possibile’. Sul divieto di trasferimento, senza che il lavoratore accetti questa soluzione, la giurisprudenza si è pronunciata più volte negli ultimi anni.
Infatti, stando alla norma, il potere organizzativo del datore di lavoro risulta limitato in favore della persona con disabilità grave.
Un lettore ha inviato il seguente quesito: “Buongiorno, avrei bisogno di un chiarimento in base al trasferimento da lunedì 12 settembre. Io non ho chiesto cambio di sede e pertanto è un disagio per motivi organizzativi perché ho una figlia minorenne con sindrome di Down. Grazie.”
La legge 104/92 prevede permessi retribuiti per quei lavoratori dipendenti che abbiano l’esigenza di assistere un familiare con disabilità grave. Questo diritto spetta ai genitori, al coniuge o unito civilmente o convivente di fatto del disabile. Può essere esteso fino ai parenti e affini entro il secondo grado, oppure entro il terzo solo nel caso in cui i genitori o il partner della persona con disabilità grave abbiano compiuto i 65 anni di età, siano ugualmente affetti da patologie invalidanti, risultino deceduti o mancanti.
Affinché il caregiver possa conciliare lavoro e assistenza, la legge ha previsto alcune tutele per questi lavoratori. Tra cui, appunto, il divieto di trasferimento.
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 29009 del 17 dicembre 2020, ha fornito alcuni chiarimenti su questo tema. In particolare, ha ricordato come in precedenti pronunce sia stato ritenuto “vietato il trasferimento del lavoratore che assiste un familiare disabile”, anche se non in situazione di gravità, a meno che “il datore di lavoro non provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte”. Secondo la giurisprudenza, infatti, questo divieto di trasferimento del caregiver deve essere visto in termini ‘costituzionalmente orientati’. Tutelando quindi le persone disabili nel loro diritto ad avere misure che possano garantirne autonomia e integrazione. L’unico limite riconosciuto dalla Corte è quello in cui il datore di lavoro dimostri esigenze produttive e organizzative che non possano essere soddisfatte in nessun altro modo. Il trasferimento deciso dall’azienda, se predisposto senza una valida giustificazione, risulta perciò nullo.
Diverso è il discorso per un dipendente pubblico qualora siano presenti motivi di ‘incompatibilità aziendale’, come già spiegato in un nostro precedente articolo su trasferimento del caregiver e legge 104.
Per quanto concerne il quesito del nostro lettore, l’azienda privata non può decidere per il trasferimento senza il suo consenso se fruisce della legge 104/92 per l’assistenza alla figlia con sindrome di Down. Come precedentemente evidenziato, il datore di lavoro deve dimostrare in giudizio l’esistenza di determinate necessità tecnico-produttive e organizzative tali da rendere legittima la decisione. Nel caso di un pubblico impiego, se il trasferimento è giustificato da incompatibilità con l’ambiente lavorativo, allora l’amministrazione può comunque agire in questo senso.
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