Esistono due sistemi di calcolo delle pensioni, uno contributivo e uno retributivo più un terzo che li unisce entrambi. Scopriamo le differenze.
Il sistema contributivo penalizza i lavoratori, quello retributivo è più vantaggioso ma non è per tutti. Capiamo come incideranno sulle pensioni del 2023.
I lavoratori sono in attesa di capire quale sistema pensionistico verrà adottato dal nuovo Governo nel 2023. Sperando che l’ipotetico ritorno della Legge Fornero venga spazzato via, rimangono i dubbi su quali possibilità saranno attive con l’anno nuovo oltre alla pensione di vecchiaia, la pensione anticipata ordinaria e la pensione per i precoci. Tutte le altre misure attualmente presenti nell’ordinamento italiano, infatti, scadranno a breve. Parliamo di Opzione Donna, dell’APE Sociale e di Quota 102. Giorgia Meloni ha accennato a Opzione Uomo per dare la possibilità ai lavoratori di lasciare il mondo del lavoro con molto anticipo, al pari delle donne. Mentre si ragiona su questo progetto, l’unica certezza è che resteranno vigenti i sistemi di calcolo contributivo, retributivo e misto. Scopriamo le differenze.
Il sistema retributivo è, oggi, quello più vantaggioso dato che tiene conto delle retribuzioni degli ultimi cinque anni prima del pensionamento. Viene utilizzato per i lavoratori che hanno versato i contributi prima del 1° gennaio 1996. Il sistema contributivo, invece, calcola la pensione in base alla contribuzione previdenziale del lavoratore maturata durante la carriera lavorativa. Risulta, così, penalizzante e riguarda coloro che hanno cominciato a maturare contributi dal 1° gennaio 1996.
Esiste, poi, il sistema misto che nasce dall’unione dei precedenti. Riguarda i lavoratori che hanno versato contributi a cavallo tra 1995 e 1996. Nello specifico, verranno calcolati con sistema retributivo i contributi versati alla data 31 dicembre 1995 e con sistema contributivo quelli maturati successivamente alla suddetta data.
Un calcolo puramente contributivo non penalizza coloro che hanno versato pochissimi contributi prima del 1° gennaio 1996. Farà ben poca differenza sull’assegno pensionistico mentre la penalizzazione sarebbe maggiore qualora i contributi maturati entro il 31 dicembre 1995 risultassero essere 18 anni o più. In questo caso, infatti, verrebbero conteggiati con calcolo retributivo anche i contributi versati dal 1996 al 2012 secondo quanto stabilito dalla normativa. I soldi che si perderebbero nel cedolino sarebbero, dunque, molti e, di conseguenza, il pensionamento anticipato non sarebbe una opzione da considerare a meno che ci si accontenti di un assegno mensile molto più basso rispetto a quello che si otterrebbe con il raggiungimento dei 67 anni.
Diverso il caso di chi non ha contributi maturati prima del 1996 o ne ha meno di 18. La differenza tra pensione ordinaria e anticipata risulterebbe all’incirca del 10%. Molto meno rispetto al 30% di perdita stimata per chi ha accumulato più di 18 anni di contributi prima del 1996.
I sistemi di calcolo citati rimarranno gli stessi nel 2023 ma con il tempo le differenze saranno sempre più flebili. La maggior parte dei lavoratori, infatti, dovrà accontentarsi necessariamente del sistema contributivo o al massimo di quello misto. Saranno ben pochi coloro che potranno aver maturato oltre 18 anni di contributi prima del 1996. Forse chi è nato intorno al 1956 ma già dal 1960 risulta quasi impossibile. Significherebbe aver iniziato a lavorare a 16 anni in modo continuativo fino al 31 dicembre 1995.
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