Il Covid, a determinate condizioni, potrebbe comportare la copertura INAIL per le malattie professionali. Ecco quali sono le ultime novità.
La copertura INAIL, sancita per le malattie professionali contratte sul luogo di lavoro, spetterebbe anche nell’ipotesi di malattia da Covid.
Ogni tipo di virus, dunque anche il Covid, se sviluppati sul posto di lavoro, devono essere considerati, a tutti gli effetti, malattie professionali. Di conseguenza, i lavoratori hanno diritto alla copertura assicurativa INAIL, senza la necessità di allegare una causa specifica alla base dell’infezione.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 29435/2022. Analizziamo, dunque, il provvedimento e scopriamo i dettagli della vicenda.
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La vicenda sottoposta all’attenzione della Cassazione ha come protagonista un infermiere professionale presso una RSA. Il richiedente pretende il riconoscimento della copertura INAIL ed il relativo indennizzo in rendita o capitale, in seguito alla contrazione della malattia da virus HCV (cd. Epatite C). La domanda, però, viene respinta sia in primo grado sia in sede di appello.
Secondo il Tribunale, infatti, il lavoratore ha l’onere di provare “il nesso causale dipendente dagli effetti patologici dell’infortunio professionale che si sia sicuramente verificato, vertendo la questione sulla certa individuazione del fatto all’origine della malattia.”
L’infermiere, così, decide di adire la Suprema Corte di Cassazione, lamentando la violazione e l’erronea applicazione dell’art. 2700 del Codice Civile, di due articoli del Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali e delle relative tabelle allegate.
Specifica, inoltre, che la natura lavorativa della malattia virale è stata adeguatamente verificata dalla Commissione per l’indennizzo; di conseguenza, poiché questo controllo è stato svolto dall’organo di riferimento del Ministero della Salute, l’INAIL è obbligata a riconoscere la copertura.
Per l’infermiere è un errore anche pretendere la prova della causa alla base della malattia, perché la patologia è già qualificata dalla tabella come di origine multifattoriale.
Il richiedente, infine, sostiene che è logico pensare che la contrazione del virus sia strettamente legata all’attività lavorativa svolta e alla durata della stessa, in assenza di fattori extra professionali. Infatti, aveva già dimostrato di non aver contratto la malattia prima dell’assunzione nella RSA (sulla base delle analisi del sangue allegate) e che nello svolgimento delle sue mansioni rientravano la medicazione e l’ausilio a pazienti anziani affetti da piaghe da decubito.
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La Cassazione, dopo un’attenta analisi di tutti i motivi del ricorso, decide per l’accoglimento.
Nello specifico, dichiara il seguente principio: “nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo umano, ne determinino l’alterazione dell’equilibrio anatomo- fisiologico. È necessario che tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell’attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell’infezione; la relativa dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici.”
La Corte di Appello aveva completamente ignorato tale principio, sostenendo l’obbligo di individuazione del fatto specifico che aveva dato origine alla malattia.
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