Non tutti i pensionati sono a conoscenza dei metodi alternativi al TFR per incrementare la propria rendita, alla fine della vita lavorativa. Ecco i più diffusi.
Il raggiungimento della pensione è una tappa fondamentale per ogni lavoratore. Dopo una vita dedita ai sacrifici e agli impegni, infatti, ci si può godere il tempo libero.
Per molti contribuenti, però, il pensionamento è anche un periodo per affrontare importanti spese economiche, soprattutto grazie al TFR, il Trattamento di Fine Rapporto. Si tratta della somma che spetta al lavoratore al termine del rapporto di lavoro.
È possibile accedere, tuttavia, anche ad altre somme, abbastanza elevate. Scopriamo quali sono ed in che modo si ottengono.
Consulta anche il seguente articolo: “Anticipo TFR o TFS: proroga del prestito bancario fino al 2024“.
Molti contribuenti optano per i piani di previdenza complementari e volontari, ai quali si può accedere già durante lo svolgimento della carriera lavorativa. Se, inoltre, si continua ad essere iscritti nel momento in cui si va in pensione, si ha diritto a delle detrazioni addirittura maggiori di 2 mila euro all’anno.
Con i cambiamenti del sistema pensionistico degli ultimi anni, purtroppo, l’ammontare dell’assegno pensionistico è sempre più ridotto. Per ovviare a tale situazione, molte persone decidono di ricorrere proprio alla previdenza complementare. Col tempo, insomma, si costruiscono un’integrazione alla pensione.
Tale previdenza non è sostitutiva di quella obbligatoria, ma si aggiunge ad essa ed è formata da un fondo, nel quale il lavoratore, durante tutta la sua vita professionale, versa i contributi. È, dunque, un sistema che è in grado di assicurare, al momento del pensionamento, una rendita ulteriore, che sarà uguale alle rate volontarie versate, con aggiunta degli interessi maturati.
Per ulteriori informazioni, leggi il seguente articolo: “Versamento del TFR nel fondo, rafforza sul serio il valore? Cosa bisogna assolutamente sapere“.
Un altro strumento, ancora poco conosciuto ed utilizzato, per ottenere una somma aggiuntiva nel momento in cui si smette di lavorare, è la cessione del quinto. A differenza del TFR e della previdenza complementare, comporta l’obbligo di stipulare con la banca o un altro intermediario finanziario un contratto. Per effetto di tale stipula, al contribuente viene detratta una determinata quota di pensione, non superiore ad un quinto dell’ammontare totale.
Ovviamente, la convenienza di tale strumento è strettamente legata al valore della pensione percepita. Per assicurarsi il prestito, il pensionato deve prima ricevere la cd. comunicazione di cedibilità della pensione. Questo documento è emesso dall’INPS, su richiesta dell’interessato. Ai sensi della Legge 241/1990, tra la richiesta ed il rilascio del certificato possono intercorrere massimo 90 giorni.
Di solito, le banche concedono la cessione del quinto anche ai pensionati abbastanza anziani. Ad esempio, in alcuni casi c’è il solo limite dei 91 anni; oltre tale soglia, dunque, la somma prestata deve essere restituita. Ma, poiché la durata minima del prestito è di 36 anni, potenzialmente fino a 88 anni si può accedere alla misura.
Il contratto, invece, non può avere una durata superiore a 120 mesi. In tale ipotesi, vale il limite degli 81 anni di età. In ogni caso, poiché c’è un pericolo abbastanza elevato di premorienza, il richiedente deve controllare attentamente l’importo della sottoscrizione. Questa, infatti, non deve essere caratterizzata da garanzie, ma da un’assicurazione obbligatoria, inclusa nel prezzo.
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