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Zelensky verso i colloqui di pace: il pragmatismo l’arma per condannare Putin?

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Prove generali per colloqui di pace? Vi sarebbero alcune congiunture che starebbero convincendo Zelensky a mettere da parte le più che comprensibili ragioni di principio e ad aprirsi a una sorta di trattato.

Il presidente ucraino, però, chiede garanzie alla comunità internazionale, l’appello è che si tratti di colloqui veri e giusti.

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Vi sarebbero più fattori che porterebbero a pensare a quanto Zelensky stia davvero ipotizzando di aprirsi a una pace con la Russia, trovando un compromesso con i suoi a dir poco comprensibili principi. Innanzitutto una linea sottile che connette il voto americano di midterm e il conflitto nel suo Paese.

Le riflessioni e i dubbi di Zelensky sulla pace

Le preoccupazioni di Volodymyr Zelensky sono almeno due: da un lato la prospettiva di un buon esito elettorale dei repubblicani, dall’altro, la pressione che a ogni modo spinge dalla Casa Bianca affinché si trovi un margine di propensione al negoziato con il Cremlino.

È così che il presidente ucraino pare sia disposto ad accantonare per un momento le sue posizioni di principio circa le possibilità di dialogo con l’invasore e sanguinario Putin a patto che dalla comunità internazionale giungano garanzia sulla serietà, giustizia e validità dei colloqui di pace.

La prudenza non è mai troppa. Zelensky rinnova tuttavia le giuste e indiscutibili premesse al trattato valutate nel corso dell’ultimo periodo bellico: ritirata dell’invasore da tutti le regioni occupate (senza specificazioni sulla questione Crimea e aree proclamatesi autonome del Donbass nel 2014; risarcimenti per gli ingenti danni provocati dall’invasione militare e processi per i crimini di guerra.

Le posizioni ucraine nei confronti di Putin da febbraio in avanti

Tuttavia, indicazione importante è che le posizioni nei riguardi dell’autocrate sono andate evolvendosi nel corso della guerra. Palesando una buona scorta di concreto pragmatismo, Zelensky torna a vagliare Putin alla stregua di un interlocutore legittimo, non escludendolo per partito preso. Ovviamente, il contesto internazionale, o meglio, gli interessi meramente egoistici di ciascun Paese incidono.

Il 24 ottobre, in occasione di un intervento rilasciato per il Corriere della Sera, il leader ucraino affermava:

Putin è un terrorista e con i terroristi non si tratta. Lo abbiamo capito dopo i massacri di Bucha e gli orrori contro i nostri civili.

Sebbene inizialmente proprio Zelensky avesse di persona fatto appello per un «incontro a quattr’occhi con Putin» e considerasse fattibile un compromesso territoriale, una serie di congiunture belliche, strategiche, diplomatiche e umane, lo abbiano per forza di cose allontanato da tale invocazione. I crimini di guerra russi, i bombardamenti indiscriminati, l’arrivo dell’arsenale dall’alleanza occidentale e i trionfi estivi, hanno sortito un inevitabile effetto.

Dulcis in fundo i referendum farsa nei quattro oblast parzialmente occupati dai russi nel sudest, con tanto di annessione farsa alla «madre Russia». Questo momento ha segnato uno spartiacque: Kiev esige un cambio di regime al Cremlino.

Pressioni su Zelensky, pragmatismo di Kiev

Un quadro che restituisce quanto sia cruciale la dichiarazione rilasciata proprio da Zelensky.

Dagli Usa si lascia intendere come l’invio di armamenti non possa proseguire all’infinito. I Repubblicani sembrerebbero non troppo disposti al sostegno dell’Ucraina rispetto ai Democratici. L’incognita Trump 2.0 preoccupa e non poco e non solo gli ucraini.

Anche il fronte europeo invita Kiev ad aprirsi a potenziali colloqui di pace.

Nel mentre, gli invasori del Cremlino non sembrerebbero intenzionati a lasciare l’oblast di Kherson, i militari vestono abiti civili e si proteggono nelle case.

Il trionfo ucraino dovrà ancora attendere. Putin non ha fretta e confida nel tempo e nelle debolezze degli alleati, Zelensky medita e calcola le prossime mosse. E se fosse proprio il pragmatismo l’arma vincente sinonimo di pace e di condanna per l’autocrate di Mosca?

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