Ci sono delle ipotesi in cui l’INPS respinge il pagamento dell’indennità di accompagnamento. L’interessato, tuttavia, può ottenere la somma. Ecco come.
La legge italiana attribuisce il diritto a coloro che hanno gravi difficoltà motorie e a coloro che sono affetti da patologie invalidanti, che non consentono il normale svolgimento delle attività quotidiane, di ottenere la cd. indennità di accompagnamento.
Il sussidio è versato mensilmente dall’INPS. L’Ente ha anche il compito di accertare se il richiedente ha effettivamente tutti i requisiti sanitari previsti dalla normativa per poter usufruire dell’indennità. Nel caso in cui il disabile non possieda tutti i presupposti, la Commissione medico- legale nega l’indennità di accompagnamento. In questo caso, cosa può fare l’interessato? Analizziamo, nel dettaglio, la normativa e scopriamolo.
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L’indennità di accompagnamento è un sussidio economico versato dallo Stato, a cadenza mensile, ai disabili e agli invalidi con gravi problemi fisici o psichici. L’importo spettante è oggetto di rivalutazione annua e, per il 2022, è pari a 525,17 euro mensili. La prestazione, inoltre, è erogata per 12 mensilità, ma si sospende nell’ipotesi di ricovero presso un istituto (pubblico o privato) a carico dello Stato.
Per ottenere il sussidio è necessario presentare apposita richiesta all’INPS. Innanzitutto, bisogna chiedere al proprio medico di base di compilare un certificato attestante le patologie possedute; è lo stesso medico, poi, che deve inoltrare il documento telematicamente all’Istituto di previdenza.
L’interessato, poi, ha 90 giorni di tempo per inviare la richiesta di indennità all’INPS. L’iter da seguire per l’inoltro è quello telematico, tramite il sito web dell’Ente, al quale si accede attraverso le proprie credenziali digitali. In ogni caso, si può richiedere l’assistenza di un Caf/ Patronato.
L’INPS, in seguito, convoca il richiedente per una prima visita medica, per accertare le sue condizioni di salute. Qualora il paziente avesse difficoltà a deambulare e a raggiungere la sede della visita, può richiedere la visita a domicilio. Dopo aver esaminato la richiesta, l’Ente previdenziale invia al paziente (tramite pec o raccomandata A/R) l’esito della sua domanda con il relativo verbale, redatto dalla Commissione medica.
Se l’INPS nega l’indennità di accompagnamento, l’interessato ha a disposizione 6 mesi di tempo, a partire dal giorno della notifica del verbale, per presentare ricorso al Tribunale. Ovviamente, il ricorrente dovrà essere assistito da un avvocato. In particolare, con il ricorso si chiede al giudice di fissare una nuova visita medica, da affidare ad un medico legale scelto dal Tribunale, per verificare il possesso dei requisiti utili per l’ottenimento dell’indennità di accompagnamento.
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Nello specifico, si tratta di un accertamento tecnico preventivo, il cd. atp, attraverso il quale il giudice assegna al consulente tecnico d’ufficio (cioè il medico) la verifica della situazione clinica del richiedente. Il ctu, poi, deve inviare la bozza delle proprie conclusioni sia all’INPS sia all’avvocato dell’interessato, che hanno 15 giorni di tempo per avanzare osservazioni. Infine, la relazione è depositata in cancelleria. Qualora il verdetto sia positivo e l’INPS non presenti opposizione, il giudice, entro 30 giorni, omologa la pratica.
Nel caso, invece, di verdetto negativo, entro 30 giorni è possibile presentare una nuova opposizione. Entro ulteriori 30 giorni, poi, si può presentare Appello ed attendere la sentenza definitiva del giudice. Alla fine, se anche quest’ultima non è favorevole, si può ripartire dal principio ed inoltrare una nuova richiesta all’INPS.
Nella maggior parte dei casi, le spese processuali e quelle legali, per il ricorso contro l’INPS per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, sono a carico del richiedente. Un’eccezione, tuttavia, esiste per i soggetti con un reddito basso (che non superano specifiche soglie), per i quali le spese sono gratuite.
Per il 2022, chi possiede un reddito fino a 11.746,68 euro, può accedere al cd. gratuito patrocinio e, dunque, non pagare neanche l’avvocato. Chi ha un reddito fino a 23.493,36 euro, invece, non deve versare le spese processuali, anche in caso di esito negativo. Infine, con un reddito fino a 35.240,04 euro non si pagano i 43 euro di Contributo Unificato iniziale per dare avvio alla causa.
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