Le persone che fanno un lavoro in nero e percepiscono la pensione possono andare incontro a rischi? Ecco cosa c’è da sapere e le possibili conseguenze
Il lavoro in nero può essere scelto per maggiorare i propri redditi, ma se si è in pensione quali possono essere i possibili rischi? Ecco cosa c’è da sapere.
Come forse già sapranno i soggetti pensionati, accedere alla quiescenza potrebbe significare una minorazione delle proprie entrate. Questo perché l’assegno mensile potrebbe essere minore rispetto alla paga da lavoratore.
In questi casi, alcune persone potrebbero pensare di cercare un lavoro per integrare la quiescenza. Altri, invece, con un assegno mensile congruo, possono scegliere di impegnarsi in altre attività.
Se si opta per un nuovo lavoro, il soggetto interessato potrebbe pensare di impiegare il proprio tempo in un’attività non dichiarata. In questo modo, si eviterebbe di pagare le imposte. Coloro che però intraprendono tale scelta sono a rischio multe e potrebbero anche incorrere in come veri e propri reati.
Tutti coloro che lavorano, infatti, devono dichiararlo e pagare di conseguenza le tasse. Così facendo si ha anche la possibilità di versare i contributi per la pensione. Chiaramente, questi hanno una regolamentazione.
Per coloro che hanno contributi puri possono ricevere un calo della quiescenza. Questo accade però soltanto se i redditi sono superiori rispetto alla soglia stabilita ed anche rispetto alle tasse sui redditi della somma percepita.
Di conseguenza, alcune persone che percepiscono la pensione potrebbero decidere un lavoro a nero. Tale comportamento, però, non è consono alla legge ed è molto scoraggiato.
Il nuovo Governo sta pensando ad una nuova pensione per le pensioni, ma di cosa si tratta? Ecco cosa c’è da sapere su Quota 41 ed il possibile importo dell’assegno mensile.
Ritornando all’argomento cardine di questo articolo, il soggetto che percepisce la quiescenza e magari lavora in nero avrà sicuramente una responsabilità, ma questa ricade maggiormente sul titolare. La norma è applicata sia se si tratta di lavoro autonomo che dipendente.
Il lavoro in nero, però, verrebbe considerato maggiormente gravoso per coloro che percepiscono la quiescenza dal momento che vi è celamento del proprio reddito. Di conseguenza, si percepirebbe una quiescenza non dovuta legalmente.
Questo, infatti, è posto sotto tutela legale dal sistema di tasse. A tale sistema nessuno può esimersi in maniera ingannevole.
Lo step primario che viene in seguito agli accertamenti dei redditi inerenti all’attività lavorativa non dichiarata è il conteggio dei redditi totali. Questo viene fuori sommando il lavoro in nero al proprio reddito. Questo è stato dichiarato prima proprio per la quiescenza.
Lo step in questione è utilizzato proprio per applicare la congrua tassazione. Questa risulterà essere maggiorata dal momento che pone le sue fondamenta in un meccanismo di progressività.
Inoltre, alle tasse, sarà applicata una multa che è del trenta per cento rispetto a quanto è stato evaso. Saranno poi applicati anche gli interessi.
Se non vi sarà adempimento del debito, vi è la possibilità di andare incontro alla procedura esecutiva. Questo può includere anche il pignoramento della propria abitazione o altro ed anche della quiescenza.
Dunque, come visto nei paragrafi precedenti, a prescindere dal tipo di lavoro svolto vi è sempre una sanzione se si lavora in nero. Bisogna però fare una dovuta differenza quando si parla di dipendenti e partita iva.
I soggetti che percepiscono la quiescenza, ma lavorano con partita iva devono adempiere al versamento dei contribuiti mancanti. Su questi è applicato un incremento del trenta per cento ed in più la mora.
Coloro che, invece, sono lavoratori dipendenti, i contributi sono versati dal titolare. Caso assai particolare riguarda coloro che sono beneficiari della quiescenza di cittadinanza.
I soggetti interessati potrebbero andare incontro al declino della misura ed inoltre potrebbero dover restituire i pagamenti ricevuti in modo indebito.
Come forse è noto, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale ed anche l’AdE possono dare il via alla riscossione se non si adempie al pagamento.
Vi potrebbero essere casi più gravi come l’accusa di taluni reati. Tra questi vi è percezione di contributi ed anche una fraudolenta attestazione dal momento che il reddito è dev’essere dichiarato per intero.
Insomma, lavorare in nero è sempre vietato ma si potrebbe continuare a svolgere un’attività dichiarando il proprio reddito. Ciò accadrebbe soltanto in taluni casi.
Se coloro che percepiscono la quiescenza hanno contributi puri allora potrebbero sommare il reddito da lavoratore con quello pensionistico. I requisiti per poterlo fare sono: avere sessant’anni per le donne e sessantacinque per gli uomini. Oppure quarant’anni di contributi versati. O ancora trentacinque anni di contributi versati e sessantuno di età.
Non vi sarebbero limitazioni, invece, per i soggetti che hanno una quiescenza che si calcola col sistema misto oppure quello retributivo.
Per i soggetti che, invece, sono beneficiari di altre pensioni (ad es. reversibilità o invalidità) possono continuare a svolgere un’attività lavorativa ma l’assegno pensionistico si ridurrà in modo progressivo.
I soggetti che, invece, hanno utilizzato Quota 100 non possono sommare il reddito fino a che non avranno compiuto sessantasette anni.
Come di consueto, prima di prendere una qualsiasi strada, è fondamentale chiedere consiglio ad un proprio consulente che sicuramente saprà dare indicazioni maggiori per ogni specifica situazione.
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