Il troppo lavoro, si sa, fa male. Quando è caratterizzato da ritmi e orari eccessivi, che a con il passare del tempo diventano insostenibili per l’organismo umano, si possono rischiare problemi di salute anche gravi, come l’infarto.
In queste circostanze quando ricorre il diritto al risarcimento? La materia dei risarcimenti è molto articolata e ricca di contributi e precisazioni della giurisprudenza.
Una questione in particolare può attenere alla correlazione tra lo stress lavorativo e gli orari e i ritmi insostenibili e l’evento dell’infarto. Per ottenere il risarcimento in questi casi occorre provare il collegamento, e su questi temi vale la pena subito ricordare che vi sono danni indennizzati dall’Inail e danni risarcibili invece dall’azienda o datore di lavoro.
Se è vero che non pochi studi e ricerche confermano che lavorare troppo nuoce gravemente alla salute, e può portare a disturbi o malattie diverse, di seguito appare opportuno parlare proprio dei temi appena menzionati. Ovvero: quando le malattie cardiovascolari derivano proprio dall’eccessiva attività di lavoro? Quando si può chiedere il risarcimento in questi casi? Approfondiamo insieme questi temi nel corso di questo articolo.
Vi sono vari studi scientifici – e pensiamo ad es. a quelli dell’Organizzazione mondiale della sanità – OMS e dell’Organizzazione internazionale del lavoro – Ilo, che indicano una marcata correlazione tra i problemi al cuore e il forte carico di lavoro. Ciò significa che, in buona sostanza, l’infarto può essere ritenuto compreso nell’elenco degli infortuni sul lavoro, comportando così il diritto all’indennizzo versato dall’Inail. D’altronde la giustificazione logica di ciò è facilmente comprensibile.
In particolare per la Corte di Cassazione l’infarto è infortunio sul lavoro laddove:
Secondo questo giudice si può pervenire a qualificare l’infarto come infortunio sul lavoro perché l’evento lesivo scaturisce da circostanze di fatto – vale a dire il tipo di lavoro in concreto effettuato – per giungere ad un giudizio di ambito medico-legale, ovvero l’attribuzione dell’infarto proprio al fatto del troppo carico di lavoro. Il giudizio medico-legale è dunque essenziale.
Attenzione però, in quanto allo scopo di conseguire dal datore di lavoro il risarcimento degli altri danni causati dall’evento infarto – e pensiamo ad es. a quelli patrimoniali come le spese farmacologiche e per interventi chirurgici – è necessario qualcosa in più, ovvero la prova data dal lavoratore circa la responsabilità del datore. Proprio su questo un recente contributo della Cassazione si è rivelato illuminante.
In questi casi la richiesta risarcitoria vede aumentare le chance di essere accolta, nel caso in cui sia già riconosciuto al lavoratore il cosiddetto “’equo indennizzo” – valevole per le patologie patite nel corso o a causa del servizio – per il quale il rapporto di causalità tra l’infarto e l’attività di lavoro effettuata viene già acclarato in maniera del tutto pacifica. E di ciò si è avuta dettagliata conferma proprio dalle parole della Cassazione.
La domanda del lavoratore, mirata a conseguire il risarcimento dei danni dal datore di lavoro necessita però di un elemento ulteriore, che deve essere adeguatamente provato dal dipendente che afferma di essere stato danneggiato nella sfera della propria salute, a causa del troppo lavoro.
Infatti occorre una prova specifica del mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, delle regole in tema di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Dando questa dimostrazione il lavoratore potrà verosimilmente ottenere il risarcimento dell’infarto da superlavoro. In buona sostanza il datore di lavoro sarà tenuto al risarcimento dei danni, nel caso in cui emerga – e sia provata – la sua responsabilità per violazione delle norme sulla tutela della salute negli ambienti di lavoro.
Insomma ricorre nuovamente l’importanza del nesso di causalità e poter conseguire il risarcimento dei danni oltre al semplice indennizzo, occorrerà provare il ruolo e l’inerzia del datore nella determinazione del danno alla salute. Peraltro non dimentichiamo che il risarcimento è domandato non all’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione degli infortuni sul lavoro) ma appunto al datore di lavoro. Si può trattare sia della PA che di un’azienda.
Non vi sono dubbi a riguardo: sono i ritmi pesantissimi, i turni troppo lunghi ed estenuanti, ma anche le condizioni di lavoro che prevedono un eccessivo carico di ore settimanali, a costituire le condizioni alla base dell’infarto collegato al lavoro. Si tratta di eventi e situazioni nient’affatto rare negli ambiti lavorativi, e che costituiscono la ragione alla base anche di gravi disturbi o problemi quali l’infarto.
Alla luce del Codice Civile e delle norme di legge varate nel tempo, tutti i datori di lavoro sono tenuti a proteggere la salute dei propri lavoratori e debbono mettere a punto tutte quelle misure che, in base alla particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono mirate espressamente a tutelare l’integrità fisica del lavoratore.
Ecco perché la violazione di questa regola e di quelle di cui al Testo Unico sulla sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, permetterà di fare una richiesta di risarcimento verso il datore di lavoro ritenuto responsabile del danno, per aver richiesto un superlavoro e dunque per aver contribuito – pur in via indiretta – all’infarto.
Ma appunto il lavoratore che ha subito l’infarto dovrà provare il nesso di causa-effetto che correla l’infarto al troppo lavoro, in modo da chiarire che il grave problema di salute è diretta conseguenza del superlavoro, e non di altre cause o situazioni e di cui quali il datore di lavoro non può essere ritenuto responsabile.
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