Il tasso di sostituzione, di fatto il meccanismo che permette di calcolare l’ammontare della pensione rispetto all’ultimo stipendio incassato, tende a diminuire col tempo – andando a penalizzare i pensionati del futuro.
La questione pensioni è molto ampia e include non soltanto le prospettive di funzionamento di tutto il sistema previdenziale ma, anche e soprattutto, le incertezze sull’ammontare del trattamento nel corso del tempo.
La domanda che ci si potrebbe certamente porre è la seguente: quanto un pensionato incasserà con il passare del tempo, e quanto prenderà di meno di pensione rispetto allo stipendio? Si tratta di un interrogativo che oggi tocca moltissime persone, le quali temono un domani di non riuscire a fronteggiare tutte le spese quotidiane, a causa di un importo di pensione non all’altezza di proteggere il proprio potere di acquisto.
Ebbene, per fare un po’ di chiarezza su temi senza dubbio articolati e complessi, considereremo di seguito che cos’è il tasso di sostituzione, ovvero un concetto che ci permette di comprendere perché la pensione sarà più bassa rispetto allo stipendio. Approfondiamo allora insieme questi temi e vediamo perché in futuro saranno erogate pensioni di importo inferiore.
Un lavoratore che per tutta la sua carriera lavorativa ha regolarmente versato contributi previdenziali, con tutta probabilità si domanderà quanto sarà il suo importo di pensione. Vero è che al di là degli obblighi verso l’Inps, calcolare l’importo della pensione non è operazione agevole o rapida, in quanto subentrano più variabili. E certamente le modifiche normative non aiutano a fare chiarezza in questo contesto.
Abbiamo accennato al tasso di sostituzione e proprio questo meccanismo nel sistema contributivo, ci permette di capire perché l’importo della pensione tende a diminuire sempre più rispetto allo stipendio.
Il tasso di sostituzione costituisce il rapporto in percentuale tra l’ammontare del primo rateo pensionistico e l’ultimo stipendio o reddito incassato prima della data del pensionamento. Di fatto è una misura che esprime, in pratica, la copertura pensionistica assicurata ai lavoratori dall’ordinamento previdenziale pubblico e privato sulla scorta della loro carriera lavorativa. Soprattutto, il tasso di sostituzione permette, inoltre, di capire se ed in che modo il tenore di vita che si ha durante la carriera come lavoratore, potrà essere conservato in vecchiaia – cioè una volta usciti dal mondo del lavoro per il pensionamento.
Il punto è che a seguito di varie riforme tra cui la ben nota riforma Dini, il tasso di sostituzione all’età di vecchiaia sarà destinato a calare in termini percentuali, e ciò a conferma che le pensioni future saranno più basse. Si tratta di rilievi svolti dalla Ragioneria generale dello Stato.
Senza addentrarci in complessi tecnicismi che sono materia degli addetti ai lavori e dei professionisti che tutti i giorni si confrontano con la delicatezza dei temi previdenziali, se vogliamo rispondere alla domanda relativa al perché le pensioni future saranno mediamente più basse di quelle odierne, non possiamo dunque che rispondere che la ragione di questo ‘impoverimento’ del trattamento sta nell’applicazione del citato tasso di sostituzione.
A seguito delle riforme previdenziali degli ultimi decenni (soprattutto la Riforma Dini e la Riforma Fornero), l’obiettivo delle istituzioni è stato non soltanto tutelare il potere di acquisto (ove possibile) dei lavoratori in futuro pensionati, ma anche e soprattutto garantire la tenuta dei conti pubblici. Pertanto, non bisogna stupirsi se il tasso di sostituzione garantito dal sistema della previdenza pubblica obbligatoria, è calato – e calerà ancora – nel corso del tempo, producendo incertezza e preoccupazione sul futuro previdenziale delle giovani generazioni. Proprio queste ultime sono le generazioni che più delle altre pagano il passaggio al sistema contributivo.
Proprio a sostegno delle pensioni del futuro avrebbe dovuto intervenire con forza la previdenza complementare, ma è pur vero che in Italia oggi non è poi così diffusa anche per ragioni di ambito fiscale.
Inoltre, come ben sanno tutti coloro che per lavoro si occupano di pensioni, il sistema contributivo mette in una posizione di vantaggio chi ha lunghe carriere lavorative, e con retribuzioni piatte e costanti nel tempo, perché tiene conto di tutto quanto è stato versato. D’altro lato invece detto sistema penalizza le persone che hanno estesi periodi di disoccupazione, gli autonomi e i lavoratori che escono in anticipo dal mondo del lavoro, perché non permette loro di recuperare, con un’accelerazione della retribuzione negli ultimi anni di carriera, estesi lassi di tempo con retribuzioni di ridotto ammontare.
Tuttavia lo Stato, proprio con il ‘penalizzante’ metodo contributivo, ha dovuto varare un maxi riforma previdenziale negli anni ’90 del secolo scorso, a salvaguardare la tenuta del sistema pensionistico nel suo complesso.
Per quanto riguarda le giovani generazioni, un escamotage contro la riduzione delle pensioni, è dato dall’avvicinarsi alla soglia dei 70 anni di età anagrafica facendo scattare così coefficienti di trasformazione più alti, oppure fare riferimento a forme di previdenza complementari.
Considerato quanto sopra, c’è chi ha parlato di un evidente parziale fallimento della riforma Dini, la quale non ha considerato tutti i possibili scenari del mercato del lavoro e non ha immaginato situazioni come quella odierna, caratterizzata da sempre più da lunghi periodi di disoccupazione, lavori precari e in nero. Per questo sempre più esperti della materia previdenziale parlano di una possibile introduzione di una pensione di garanzia finanziata dalla fiscalità generale, per i giovani che altrimenti non saranno in grado di conseguire un reddito minimo per la vecchiaia.
Infine, ricordiamo che nel proprio spazio web Inps mette a disposizione un simulatore per il calcolo della prestazione previdenziale futura, che contribuisce a fare ulteriore chiarezza su questi temi.
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