Cina: la seconda maggior economia mondiale è anche il primo importatore di petrolio.
L’economia ha sussultato a causa della strategia per eliminare i contagi di covid ma adesso con la diminuzione delle restrizioni il dragone può tornare a ruggire.
La strategia ‘zero Covid’ messa al centro della strategia economico sociale del Governo cinese ha frenato l’economia e tenuto allo stesso tempo bassi i prezzi del petrolio. I minori consumi per viaggi e spostamenti hanno lasciato correre a ribasso le quotazioni e tenuto così anche limitata la crescita dell’inflazione.
Secondo alcuni analisti, una volta eliminate le restrizioni l’economia cinese tornerà a spingere la domanda e i consumi porteranno nuovamente il greggio a superare i 100 dollari al barile; questo fino anche a raddoppiare il suo prezzo attuale, intorno agli 80 dollari.
Per i timori di una crescita improvvisa della domanda l’OPEC + ha anticipato a ottobre il taglio della produzione pari a 2 milioni di barili al giorno, consentendo al cartello di compensare gli effetti temuti sui prezzi per l’aumento della domanda.
Dalla fine degli anni ’90, la Cina è stata protagonista sui mercati petroliferi globali. La sua crescita economica ne ha guidato la domanda così come quella delle altre materie prime. Dal 2013 la Cina ha superato gli Stati Uniti come maggiore importatore al mondo di greggio e altri combustibili.
Oggi gli effetti sul costo finale dei carburanti possono essere imprevedibili. La variabile più importante da prendere in considerazione è la concomitanza degli effetti suoi prezzi del greggio dell’emergo sul petrolio russo. Oltre l’Ue esso è adottato dalle Grandi 7 economie più l’Australia; Putin ha tuttavia le risorse per continuare a resistere e per controvertere sui “paesi ostili” gli effetti economici negativi ripagandoli con la stessa moneta.
Una misura rischiosa che non impedirà il perdurare della guerra in Ucraina. Da canto suo Mosca ha risposto che non venderà il suo petrolio con il limite di prezzo stabilito e studierà le contromosse. Altri mercati come quello cinese e indiano sono pronti ad acquistarne il petrolio a prezzo di mercato. La sicurezza energetica dei due Paesi rimane così strettamente interconnessa alla Russia con la variabile decisiva che rimane dunque la Cina.
Prevale la cautela, vedremo come la politica dei Paesi in conflitto potrà tradursi in nuovi aumenti dei prezzi tali da aggravare la crisi energetica globale. Per il momento il prezzo del greggio russo rimane ai minimi degli ultimi due anni. Urals è scambiato a 54,9 dollari, in calo di oltre il 30% nell’ultimo mese e del 26% nell’ultimo anno. Si tratta del livello minimo da gennaio 2021 e inferiore di circa 20 dollari rispetto al greggio Brent.
L’Urals rappresenta circa il 60% delle esportazioni marittime russe e deve oggi affrontare la competizione per le esportazioni locali in Asia.
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