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Economia

Contributi non pagati: con questo fantastico modo si evita la prescrizione e sono utili per la pensione

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Ecco gli strumenti a disposizione dei contribuenti che non hanno pagato i contributi, per non incorrere nella prescrizione.

Non tutti lo sanno, ma anche i contributi non pagati dal datore di lavoro possono cadere in prescrizione.

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Il problema principale è che, nella maggior parte dei casi, i lavoratori si accorgono di questo inconveniente solo quando è troppo tardi. Quando, cioè, è intervenuta l’estinzione del diritto.

Bisogna informare l’INPS del mancato pagamento dei versamenti previdenziali entro 5 anni dalla data di scadenza del pagamento. Durante questo lasso di tempo, si può avvisare anche l’Agenzia delle Entrate, in modo tale da compiere tutti gli accertamenti dovuti.

Decorso tale periodo, tuttavia, scatta la prescrizione e, dunque, viene meno il dovere di versare i contributi. L’INPS, di conseguenza, non potrà più fare nulla per punire il datore di lavoro inadempiente; il lavoratore, allo stesso tempo, non potrà più conseguire quello che gli spettava, subendo delle gravissime conseguenze sulla pensione.

Per evitare questa problematica, il lavoratore deve denunciare la situazione all’INPS entro 5 anni; in tal caso, le tempistiche per la prescrizione salgono a 10 anni. Ma c’è un modo a disposizione del contribuente per recuperare i contributi non versati? Analizziamo nel dettaglio cosa prevede la normativa.

Non perdere il seguente approfondimento: “Pensioni: il rimborso dei contributi versati è possibile, non tutti lo sanno“.

Cosa può fare il lavoratore se non gli sono stati versati i contributi?

Per recuperare i contributi che non gli sono stati pagati, il lavoratore ha due metodi a disposizione:

  1. l’azione giudiziaria;
  2. il riscatto dei contributi.

Il Codice Civile stabilisce la facoltà per il dipendente di citare in giudizio il proprio datore di lavoro, per ottenere il risarcimento di danni. È bene considerare, tuttavia, che le tempistiche processuali sono abbastanza lunghe.

L’alternativa all’azione giudiziaria è il riscatto dei periodi che non sono coperti da contribuzione, attraverso la cd. costituzione di rendita vitalizia. Questo meccanismo è valido per la pensione di vecchiaia, l’assicurazione per l’invalidità e per i familiari superstiti del lavoratore deceduto.

In cosa consiste? L’INPS eroga al dipendente una rendita di importo corrispondente alla pensione o alla quota di pensione che sarebbe spettata nell’ipotesi in cui il contribuente avesse potuto contare sui contributi mancanti.

I versamenti omessi possono essere riscattati sempre, anche quando si è andati in pensione. Per avere accesso alla rendita, inoltre, la normativa richiede il possesso di una certificazione attestante la sussistenza del rapporto di lavoro, la sua durata e la cifra esatta della busta paga.

È necessario, tuttavia, pagare un onere di riscatto, che ha un costo molto elevato.

Infine, il riscatto e la costituzione della rendita vitalizia possono essere richiesti anche dai familiari superstiti del dipendente deceduto.

Consulta anche il seguente articolo: “Pensione e contributi volontari: come penalizzano l’assegno e qual è l’importo effettivo, la verità è questa“.

A quanto ammonta l’onere di riscatto?

Lo svantaggio del riscatto dei contributi non versati è costituito dai costi piuttosto elevati. La cifra da corrispondere varia a seconda del momento al quale si riferiscono i versamenti previdenziali omessi.

In particolare, per gli anni fino al 31 dicembre 1995, l’importo da pagare è determinato tramite il sistema retributivo. Quest’ultimo prende in considerazione dati variabili, come i fattori demografici e previdenziali e i costi che dovranno essere sostenuti dall’INPS per il riscatto.

Il calcolo considera, poi, i cd. coefficienti di capitalizzazione, che, a loro volta, valutano l’età del lavoratore, il sesso (per le donne il riscatto è più costoso perché, in media, vivono più a lungo degli uomini), la posizione assicurativa, gli stipendi percepiti e la durata dei periodi contributivi da riscattare.

Un esempio può aiutare a comprende meglio quanto costa il riscatto dei contributi non versati dal datore. Ipotizziamo versamenti non corrisposti nel periodo dal 1° gennaio 1996. In tale ipotesi, la cifra da pagare è determinata attraverso il sistema contributivo. Si tiene conto, dunque, dell’aliquota contributiva annuale, pari al 33% della retribuzione lorda, moltiplicata per gli anni da riscattare.

Se, per esempio, bisogna riscattare 5 anni di versamenti e si ha una retribuzione lorda annua di 30 mila euro, si calcola il 33% di 30 mila euro e lo si moltiplica per 5 anni. Si dovranno, quindi, pagare 49.500 euro.

Qualora, infine, gli anni da riscattare siano in parte precedenti al 1996 ed in parte successivi al 1996, l’ammontare del riscatto è calcolato tramite il sistema misto, come avviene per gli assegni pensionistici.

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