La prossima recessione è ormai scontata negli atteggiamenti degli investitori e anche delle istituzioni italiane.
Traspare anche dalle parole del presidente del Consiglio.
L’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti ha già causato scompiglio tra le imprese del vecchio continente che hanno deciso di spostare investimenti e produzione negli Stati Uniti beneficiando così di sussidi e sconti fiscali sulla base delle politiche di protezionismo del Paese.
In un contesto come questo in cui l’Ue, visti anche gli aggravi dei costi di elettricità e gas rischia un processo di deindustrializzazione, Von der Leyen rincara la dose coinvolgendo i titoli di Stato dell’eurozona.
L’annuncio di una serie di rialzi dei tassi da parte della Bce e il conseguente aumento degli spread sui BTP italiani hanno spinto il governo di Giorgia Meloni a vedere criticità direttamente nelle parole della presidente della Banca centrale.
È sconcertante come lo stile di comunicazione nella gestione delle crisi sia completamente opposto a quello di Mario Draghi. La Bce ha comunicato con leggerezza e distacco l’impossibilità di circostanze favorevoli a seguito degli aumenti dei tassi. L’inflazione sarà combattuta e i mercati non devono aspettarsi sconti.
Sale così lo spread in tutta Europa e mentre l’Italia cerca di ritagliare le risorse utili a compensare la crisi energetica e allo stesso tempo aumentare stipendi e pensioni e tagliare le tasse, la Von der Leyen esclude, inoltre, la possibilità per l’Eurozona di un nuovo debito comune.
Molti paesi membri si domandano come l’Ue si risolleverà date tutte le convergenze negative che la attendono nel 2023. Lo spazio fiscale molto limitato dei paesi più piccoli o altamente indebitati nonché l’assenza di una solidarietà tra i Paesi membri e l’avversità della politica monetaria sono tutti fattori incisivi sia nel breve che nel lungo periodo.
Nel nostro Paese l’inflazione di novembre è rimasta invariata su base annua. Ci sono BTP che non temono l’instabilità dei prezzi? A partire dalla seconda metà del 2022 per cercare di rispondere ai dubbi dei risparmiatori è stato emesso per la prima volta il BTp Italia.
Si tratta di un Titolo di Stato divenuto molto popolare proprio in corrispondenza dell’alta inflazione; questa obbligazione si sta distinguendo sul mercato per il rendimento reale piuttosto inferiore rispetto a molti altri BTP con cedola fissa. Proprio la collocazione dedicata a proteggere il capitale dall’inflazione concentrando la domanda su di esso ne ha ridotto gli interessi cedolari.
In particolare, il BTP Italia è strutturato per avvantaggiare chi si mantiene investito con un premio fedeltà che si aggiunge alla cedola minima dell’1,6% rivalutata nel tempo all’inflazione.
In questo contesto i bassi rendimenti rispetto alle altre obbligazioni del BTP Italia può essere una buona notizia. Questo Titolo di Stato sta già scontando una rapida riduzione dell’inflazione attesa nei prossimi anni? Se così fosse questo titolo non avrebbe una particolare attrattiva rispetto a quelli a breve termine emessi negli ultimi mesi. Oggi che l’inflazione è ai massimi degli ultimi tre decenni, comprare un Bond indicizzato all’inflazione significa quasi sicuramente pentirsene tra 2-3 anni.
La regola fondamentale di comprare basso e vendere alto non può venire violata neanche sui BTP Italia, considerando un’inflazione che può non essere in grado di crescere significativamente più di così.
Al contrario se pensate che il mercato sta sottostimando l’inflazione futura, si può dare un’occhiata al BTp Italia 2027. Con un’inflazione in media del 3% all’anno per i prossimi 5 anni, questo titolo garantisce rendimenti nominali più alti dei bond con cedola fissa.
Nel caso di una tendenza simile otterreste un 4,60% all’anno lordo. Con un’inflazione minore invece i BTP 12 mesi, che sembrano oggi avere raggiunto oggi il picco in termini cedolari, sono la scelta migliore per chi li ha sottoscritti nei mesi scorsi.
Più interessante sarà aggiungere ai calcoli le condizioni che seguiranno al possibile cosiddetto “quantitative tightening“, ovvero la riduzione del bilancio della BCE. I BTP 12 mesi fungono da segnale per capire le aspettative degli investitori riguardo le condizioni economiche più prossime. Ciò rivela di riflesso un orizzonte temporale minimo e massimo per il quadro inflattivo.
Qualcosa di simile accade sui BOT che diventano ancora più interessanti. Il BOT con scadenza al 14 dicembre 2023, cioè tra quasi un anno esatto e con codice ISIN IT0005523854, ha chiuso le contrattazioni venerdì al prezzo di 97,244 centesimi. In altri termini si tratta di un titolo che rende oggi il 2,83%.
Queste obbligazioni che non prevedono lo stacco cedola come i classici BTP. Il rendimento determinato dallo scarto di emissione, cioè la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di rimborso finale ci dice molto sul potenziale di titoli come questo in caso di ulteriore svalutazione delle quotazioni.
Si tratta di un ottimo modo per lasciare maturare liquidità sul breve termine senza contare su ciò che avverrà nei prossimi anni.
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