È certamente vero che stiamo vivendo una fase economica senza precedenti. La crisi di fiducia e stabilità dei mercati e dei prezzi sta ricostituendo l’interesse e l’apprezzamento verso classici beni rifugio come la casa.
Gli immobili sono un bene ambito e rappresentativo della ricchezza delle famiglie italiane.
Mentre la ricchezza è stata colpita dall’inflazione per qualunque ceto sociale, con picchi del 12%, la fase storica ha imposto una necessaria rivalutazione di un bene capace di difendere la stabilità economica e la salute.
Le emergenze cambiano e mutano le strategie per sopperire ai bisogni di sicurezza. Davanti a crisi improvvise con effetti che, come abbiamo visto, sono risultati imprevedibili anche per le maggiori istituzioni. Gli immobili hanno ripreso il centro dell’interesse della stabilità in un mondo che cambia.
In una situazione che ha rischiato e rischia di avvicinarsi a quella di un’economia di guerra. Sono cambiati i settori considerati strategici da nazioni e aziende, queste ultime impegnate a ripensare la loro produzione. In questo contesto
Anche a causa della traumatica esperienza dell’emergenza sanitaria e delle misure restrittive di confinamento, cambiano i valori e le funzioni della casa. Nonostante le chiusure obbligate e le convivenze forzate, la privazione della libertà ha trovato in parte sostegno e scampo grazie alle proprie abitazioni. All’interno di esse si è potuto in parte reinventare la libertà; è per questo che in futuro gli investimenti sugli immobili in Italia saranno guardati sempre con maggiore favore.
Ad oggi circa il 79% delle famiglie italiane è proprietaria della casa in cui vive o ha un usufrutto gratuito, il restante 20,5% vive in affitto. Quasi un terzo delle famiglie proprietarie di immobili pari al 70%, ne possiede più di uno. Emerge così il ritratto di uno dei paesi economicamente avanzati con il più alto numero di proprietari di casa.
Secondo il primo rapporto Federproprietà-Censis ‘Gli italiani e la casa’, presentato in questi giorni a Roma, emerge che in questi ultimi due anni il valore sociale della casa non è mai stato così alto. L’economia non ne ha completamente consolidato la tendenza per la difficoltà attuale di esporsi a un mutuo senza un capitale sufficientemente alto. Quando invece alcune garanzie hanno dato possibilità a una parte degli italiani, come nel caso delle agevolazioni prima casa per gli under 36, di essere compensati per 80% della spesa, la domanda è stata importante e florido l’interesse.
In termini reali l’ultimo aumento di 50 centesimi pesa su un mutuo che sia o abbia ancora un debito residuo pari a 100 mila euro per 42 euro. Per avere un esempio chi ha sottoscritto un mutuo variabile a 30 anni da 150 mila euro aperto all’inizio del 2022 al tasso del 1% è passato da una rata di 482 euro a una di 847.
La notizia preoccupante, oltre agli aumenti dei tassi presenti e futuri promessi da Francoforte che finiranno per scontarsi sul tasso del finanziamento, è anche quella che; l’inflazione per essere domata ha bisogno di una contestuale contrazione della crescita economica.
La Banca centrale europea ha deciso giovedì 15 dicembre 2022 di aumentare i tre tassi di riferimento di 50 punti base rispettivamente al 2,50%, 2,75% e 2% a valere dal 21 dicembre. La decisione rispecchia analoghe iniziative sui tassi decisi in questi giorni dalla Banca d’Inghilterra, la Banca nazionale svizzera e la Federal Reserve Usa.
Questo ricade sia sulle famiglie, come detto sotto forma di rialzo dei tassi dei mutui, ma anche sulle imprese in termini di interessi più alti sui prestiti.
Il fardello si caricherà sulle imprese italiane. Le regioni più penalizzate dalla decisione saranno proprio quelle dove sono maggiormente concentrate le attività produttive più indebitate: Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte.
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