Rivalutazione del TFR. Continua l’impegno del Governo per garantire equità tra lavoratori, contributi versati, assegno ed età pensionistica; una sfida che passa per vari livelli.
Da un lato, razionalizzazione futura dei prepensionamenti, dall’altro incentivi a favore della previdenza integrativa. A questo proposito può avere un enorme impatto la maxi rivalutazione del TFR prevista per il prossimo anno.
Il TFR è una retribuzione accessoria erogata dal datore di lavoro al dipendente che viene corrisposta alla cessazione del rapporto di lavorativo. In caso di licenziamento, dimissioni volontarie o pensionamento la legge prevede il diritto a ricevere uno stipendio finale pari a circa il 7% della somma dei salari lordi, percepiti in base al proprio contratto di lavoro.
Si tratta in sostanza di una ulteriore mensilità finale che viene rivalutata anche in base all’inflazione. Per il lavoratore si tratta di un’ottima notizia; chi, per esempio, avesse lavorato come dipendente di un’azienda vedrebbe il suo TFR al 31 dicembre 2021 rivalutarsi a gennaio 2022 di circa il 9,7%. A questo si aggiunge la somma accantonata nel 2022 da rivalutarsi ancora a fine 2023.
C’è chi decide di sottoscrivere al posto del trattamento di fine rapporto un piano di integrazione pensionistica versando una parte o tutto il TFR su di esso con quote mensili o annuali. Cosa è accaduto nell’ultimo anno per chi ha deciso di affidarsi totalmente a una o l’altra soluzione?
Ciò che è certo è che l’inflazione farà di questo e del prossimo anno un periodo di rivalutazione record del TFR oltre che naturalmente delle altre erogazioni indicizzate tra cui le pensioni. Come detto si tratta dell’intera retribuzione annua lorda suddivisa per 13,5 mensilità di un lavoratore compresa la tredicesima obbligatoria e quattordicesima facoltativa.
La rivalutazione del TFR avviene calcolando l’inflazione annua del mese in cui avviene la cessazione del rapporto di lavoro moltiplicandola per 0,75. Al dato così ottenuto si somma infine 1,5%. Il TFR è quindi pari al 75% del tasso d’inflazione più una componente aggiuntiva dell’1,5%.
Nell’ultimo anno è stata di gran lunga un’attesa più proficua per chi ha deciso di attendere fuori da ogni forma di pensione integrativa privatistica. I fondi pensione negoziati in borsa hanno segnato bilanci negativi con crolli dall’8 al 10%. SI tratta di investimenti a lungo termine che verranno comunque compensati dai trend positivi sull’arco della sottoscrizione, da un minimo di 5 fino ad almeno 20 anni.
Per avere un esempio nel decennio dal 2012 al 2021, i fondi pensione negoziali hanno reso il 4,1%, i fondi aperti il 4,6% poco sotto il rendimento dei PIP pari al 5%. Osservando il funzionamento di questi ultimi si possono capire le principali differenze tra i diversi sistemi di integrazione pensionistica privata.
Il PIP è un contratto di assicurazione sulla vita a premi ricorrenti: quelli di ramo I sono considerati meno rischiosi perché garantiscono la restituzione del capitale e un rendimento minimo. I PIP di ramo II sono invece soggetti alle oscillazioni del mercato e hanno un rischio ma anche un rendimento maggiore. Nel 2021 i primi si sono rivalutati di circa il 3,6% mentre i secondi dell’11,1%. La rivalutazione del TFR nel 2021 è cresciuta del 3,6%.
Come si evince il primo errore da non fare nella scelta tra fondi pensione e TFR è quello di basarsi solo sulle correlazioni storiche che hanno causato variazioni nei rendimenti nel passato. Questo e lo scorso anno sono stati periodi di variazioni dei classici fondamentali date le influenze impreviste sia degli stimoli fiscali che della recente guerra in Ucraina.
Oltre questo è importante valutare i rendimenti sul lungo periodo basandosi su un’aspettativa di rendimento altrettanto lunga. Questo permette di fare scelte realistiche, ponderando il rischio e mantenendo il capitale esposto con fiducia anche nei momenti di alta volatilità.
Il 2022 è l’esempio di un anno dove un grande numero di asset non ha saputo offrire protezione. Le sole classi di attività che hanno offerto rendimenti positivi sono il settore energetico, il dollaro Usa e alcuni mercati di nicchia come l’azionario del Brasile.
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