Gli aumenti a tutela degli stipendi nel settore pubblico faticano a compensare l’inflazione che insieme alle imposte peggiora la situazione nella pubblica amministrazione.
Si allarga così il divario retributivo tra pubblico e privato. I dipendenti dello Stato non sono tutelati dall’inflazione.
Non solo oggi con gli aumenti dei prezzi al consumo sopra il 10% ma anche in precedenza; tra il 2013 e il 2022 le retribuzioni nella Pa sono aumentate del 6,1%, contro un’inflazione complessiva superiore al 13%.
È così le retribuzioni e il reddito in Italia cala complessivamente con il passare degli anni e la situazione non migliora sommando agli aumenti dei rinnovi dei contratti. Nel triennio 2019 – 2021 c’è stato un incremento effettivo dello stipendio nel contratto dell’1,5%; impossibile non affrontare la questione a livello politico. Con un’inflazione acquisita al 8,1% nel 2022 il rinnovo dei contratti per il prossimo biennio dovrà essere finanziato con più di 25 miliardi di euro.
Tra le buone notizie del 2023 in questi termini riguarda lo sgravio con cui viene ridotta la quota di contributi a carico del dipendente: essa va dal 2% per gli stipendi fino a 2.692 euro, fino al 3% di chi ne guadagna meno di 1.923 euro.
Indirettamente, quindi, lo stipendio netto risulterà più alto visto che i contributi versati dal dipendente si riducono di circa 55 euro.
Un altro incremento viene riconosciuto in attesa del rinnovo di contratto per il triennio. È l’anticipazione di ciò che spetterà ai dipendenti del settore commercio per i quali è in arrivo un’indennità una tantum di massimo 700 euro fino a marzo. Gli aumenti proseguiranno poi da aprile con 30 al mese fino alla fine dell’anno.
Non lasciare a secco gli statali, rischia di complicare ulteriormente le cose, considerando le scarne risorse finanziarie disponibili quest’anno destinate in questo ambito più alla riduzione del cuneo fiscale per i privati.
Secondo il Governo per invertire la rotta degli incrementi dei costi per aziende e imprenditori, incidendo su mercato del lavoro e salari, occorre stabilizzare l’economia ripartendo dall’imposizione fiscale. Si tratta di un dato economico che non riguarda solo il nostro Paese; l’incentivo all’imprenditoria può creare grandi disuguaglianze ma allo stesso tempo rendere resiliente, elastico e inclusivo il mercato del lavoro.
È da qui che occorre ripartire con le giuste misure anche e soprattutto in Italia. Scaricati sul lavoro e sulle persone, il peso e gli incrementi della tenuta del sistema. Per fare fronte a povertà, pensioni e disuguaglianze di demolisce l’iniziativa personale e si scoraggiano gli investimenti in nuove assunzioni.
Per invertire la rotta occorre poi stabilizzare l’economia ripartendo dalla promozione dell’occupazione che non passa più dai sussidi e dello Stato. Ciò che vuole sostituire la precarietà e la rigida nel mercato del lavoro passa attraverso di un fisco equo e progressivo nuovo welfare.
Sebbene le intenzioni siano positive e abbiano un orizzonte strutturale e di lungo termine con il passaggio alla flat tax e l’innalzamento della soglia di fatturato fino a 85 mila euro di fatturato, i lavoratori autonomi continueranno a pagare più tasse di quelli dipendenti. Solo nella fascia di reddito tra i 60 e i 65 mila euro, le partite Iva avranno dei vantaggi.
Tra chi guadagna 10 mila euro all’anno fino ai 55 mila euro, gli autonomi pagano sempre molto di più rispetto impiegati e operai. La differenza non è trascurabile arrivando fino punte di 3.800 euro all’anno in media in più nella fascia di reddito tra i 25 e i 30 mila euro e di 4.200 su redditi tra i 15 e i 20 mila euro.
Il Senato italiano si è affrettato ad approvare la legge di bilancio 2023 entro la fine dell’anno, tra polemiche su molti fronti ma anche qualche soddisfazione. Nonostante il budget stringente per l’emergenza dei costi energetici, il pacchetto da 35 miliardi di euro, di cui 21 solo a compensazione dei maggiori prezzi in bolletta, mostrerà la direzione del nuovo Governo. I limiti fanno spazio alle buone intenzioni, con nuove leggi che tentano di ridurre in maniera progressiva nella legislatura il notevole carico fiscale che i datori di lavoro e gli autonomi devono affrontare in Italia.
La situazione, dunque, cambia segno, la Cgia sottolinea che, per il momento a partire dai redditi pari a 60 mila euro, gli autonomi con flat tax subiranno nel 2023 un prelievo fiscale annuo inferiore ai dipendenti di 640 euro.
Una realtà che appare al contrario per il modo in cui siamo abituati a considerare il prelievo fiscale. Lo svantaggio, tuttavia, si può ripercuotere nelle ricadute che i volumi d’affari hanno sul mercato del lavoro e sui consumi.
I lavoratori autonomi come: artigiani, commercianti, liberi professionisti, consulenti, micro imprenditori, etc. che con lo slittamento all’insù della soglia di fatturato fino a 85 mila euro beneficiano di un vantaggio derivante dalla flat tax costituiscono un numero oggi non superiore ai 140 mila.
I contribuenti in regime forfetario ammontano invece a poco meno di 1.728.000. Si tratta del limite di una modifica impostata solo parzialmente date le condizioni in cui è stata scritta la legge di Bilancio e la cui efficacia potrà valutarsi solo nei prossimi anni; alm momento un dato è evidente, l’ampliamento delle soglie per accedere alla flat tax ha un costo aggiuntivo stimato per le casse dello Stato di 404 milioni di euro all’anno.
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