Individuare il Parkinson prima che si manifesti la malattia grave è divenuta una priorità. Grazie ad un esperimento forse riusciremo a sconfiggerla.
Sappiamo che al momento non esiste, purtroppo, una cura efficace contro questa forma di malattia neurodegenerativa.
Anche se alcune case farmaceutiche stanno ideando dei trattamenti-vaccini, non abbiamo ancora la certezza che funzionino. Anzi, riguardo all’ultimo ritrovato contro l’Alzheimer, il Lecanemab, gli stessi scienziati hanno molti dubbi.
La Ricerca però non si ferma e già dal prossimo marzo l’Italia effettuerà un importante esperimento. I finanziamenti per questo studio di rilievo internazionale arrivano dal programma per la ricerca e l’innovazione dell’Unione Europea, Horizon Europe, e l’esperimento si chiamerà NAP. Andiamo dunque a scoprire di cosa si tratta e quali sono le speranze che si riservano i ricercatori.
Il progetto avrà come sede l’Università di Pisa e a capo del team troviamo Chiara Magliaro, ricercatrice presso lo stesso Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università e il Centro di Ricerca “E. Piaggio”.
Come accenna lei stessa nel sito dell’Università, il progetto durerà 3 anni e partirà il 1 marzo del 2023. Lo scopo è quello di utilizzare “la tecnologia sviluppata grazie al progetto NAP, per identificare gli effetti della deprivazione del sonno e individuare precocemente i sintomi del morbo di Parkinson, legato ai disturbi del sonno“.
Proprio i disturbi del sonno, infatti, sono associati alla comparsa del Parkinson. Ma oltre a questo fatto, sottolineiamo che il progetto avrà una caratteristica molto particolare. Per la sperimentazione, infatti, il team di ricercatori userà degli Organoidi Cerebrali.
In sostanza si tratta di “mini cervelli” realizzati in laboratorio, partendo da cellule staminali umane. Per chi non è addetto ai lavori potrà sembrare qualcosa di strano, ma in realtà gli organoidi vengono usati spesso nella Ricerca. Per testare nuovi farmaci oppure per comprendere i meccanismi della cancerogenesi.
Son molto efficaci perché riproducono in “miniatura” la struttura e la composizione della corteccia cerebrale umana. Potremmo dire che assomigliano molto al piccolo cervello di un feto di appena 3 mesi.
Il motivo per cui gli scienziati preferiscono usare i mini cervelli è intuibile. Le sperimentazioni su animali non possono dare riscontri precisi proprio per la differenza evolutiva e fisiologica tra i diversi esseri, e ciò è sempre stato un ostacolo.
Alcuni anni fa, per ovviare a questo gap, un team scienziati finanziati dal CER, ha ideato un sistema di coltura ottenuto da cellule staminali. Il direttore del progetto dott. Jürgen Knoblich spiegò all’epoca quanto segue: “L’idea era quella di utilizzare questi organoidi cerebrali come strumento estremamente economico nella scoperta e nello sviluppo di terapie per le malattie neurodegenerative e dello sviluppo“. Da qui, l’utilizzo delle colture per testare farmaci ma anche e soprattutto per comprendere i meccanismi delle malattie neurologiche.
La speranza è quella che il progetto di prossima partenza porti a cure personalizzabili e più efficaci contro il Parkinson.
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