L’attuale sistema previdenziale consente di proseguire l’attività lavorativa anche dopo la maturazione dei requisiti per la pensione. A quali condizioni?
In alcuni casi, i lavoratori scelgono di “rinunciare” momentaneamente alla pensione, per guadagnare di più.
L’attuale età pensionabile è fissata a 67 anni, per cui, sia gli uomini sia le donne, devono maturare tale requisito (insieme ad un’anzianità contributiva di almeno 20 anni), se intendono accedere alla pensione di vecchiaia. Per la pensione anticipata ordinaria, invece, non c’è un limite anagrafico, ma è necessario il possesso di 41 anni e 10 mesi di contributi (per le donne) o di 42 anni e 10 mesi (per gli uomini).
Ci sono, poi, gli ulteriori strumenti di flessibilità in uscita, come Quota 100 (ora Quota 103), Opzione Donna e Ape Sociale, che permettono la cd. cristallizzazione del diritto. In pratica, i beneficiari possono decidere di smettere di lavorare anche in un secondo momento, ben oltre il conseguimento dei presupposti pensionistici.
In tutte queste ipotesi, quindi, gli interessati possono continuare a lavorare. Vediamo, però, a quali condizioni.
Non perdere il seguente approfondimento: “Pensione anticipata: in questo caso è possibile continuare a lavorare anche se si maturano i requisiti“.
Un nostro Lettore ha contattato la Redazione per chiarimenti relativi al seguente dubbio:
“Salve, sono un dipendente presso un Ente locale e ho 67 anni (compiuti a gennaio 2023). Posso continuare a lavorare, anche se il 1° febbraio 2023 potrò usufruire della finestra per la pensione? Grazie mille.”
Chiariamo subito al nostro Lettore che la normativa vigente in materia previdenziale consente ai lavoratori di svolgere la propria attività lavorativa fino a 70 anni (dunque, oltre il raggiungimento dell’età pensionabile). Attenzione, però, perché tale possibilità non è riservata a tutti; bisogna rispettare, infatti, specifiche condizioni.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha sancito che è possibile continuare a svolgere attività lavorativa fino a 70 anni solo se si stipula un accordo con il datore di lavoro. Non si può, dunque, proseguire sempre e a propria discrezione.
La prosecuzione del lavoro, quindi, non è un diritto, bensì una mera facoltà, qualora il datore acconsenta. Quest’ultimo, infatti, può anche decidere di collocare a riposo forzato il dipendente che ha compiuto l’età pensionabile. Attenzione, però, perché possono rinunciare alla pensione (fino a 70 anni) solo i dipendenti privati e non anche i dipendenti pubblici. Quest’ultimi, dunque, devono necessariamente andare in pensione.
Poiché il nostro Lettore lavora in un Ente locale (che, nell’ordinamento giuridico italiano, è un ente pubblico) non ha, purtroppo, la possibilità di posticipare il pensionamento.
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Abbiamo appena specificato che i dipendenti privati possono anche scegliere di non presentare le dimissioni al raggiungimento dei requisiti per il pensionamento. Per i lavoratori pubblici, invece, la disciplina è differente.
Le pubbliche amministrazioni, infatti, hanno l’obbligo di collocare a riposo d’ufficio i dipendenti che hanno una certa età. In particolare, ci riferiamo a coloro che hanno compiuto 67 anni, utili per la pensione di vecchiaia. Questa regola, tuttavia, conosce un’eccezione.
Cosa succede, infatti, se il lavoratore non ha maturato il diritto all’assegno pensionistico? È il caso, ad esempio, di coloro che, pur avendo compiuto 67 anni, non possiedono 20 anni di contribuzione. Solo in questa ipotesi, il dipendente pubblico può richiedere il trattenimento in servizio, a condizione che tutti i requisiti pensionistici vengano acquisiti entro il compimento dei 71 anni.
Esiste, infine, la possibilità di ottenere il trattenimento in servizio anche con 67 anni di età e 20 anni di contributi versati. In particolare, sono due i casi:
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