Opzione Donna è la forma di pensionamento anticipato che permette ad alcune lavoratrici di uscire dal mondo del lavoro sette anni prima della pensione di vecchiaia.
Per quanto l’offerta sia appetibile, occorre sapere che Opzione Donna prevede un sistema di calcolo dell’assegno pensionistico puramente contributivo. Traduzione, si perderanno soldi.
La Legge di Bilancio 2023 ha prorogato Opzione Donna, misura in scadenza il 31 dicembre 2023 insieme all’APE Sociale. Il Governo ha deciso di continuare ad offrire alle lavoratrici la possibilità di lasciare il mondo del lavoro in anticipo restringendo, però, la platea delle beneficiarie. La manovra fiscale, dunque, ha introdotto novità poco piacevoli e confermato alcuni aspetti svantaggiosi per le donne. Per comprendere quanto sia conveniente approfittare di questo scivolo occorre partire dalle caratteristiche della misura per poi quantificare la perdita sull’assegno da mettere in conto. Tra gli aspetti svantaggiosi prima segnalati, infatti, troviamo l’obbligo di calcolare la pensione con sistema contributivo pur rientrando nel calcolo misto o retributivo.
La platea delle beneficiarie di Opzione Donna si restringe nel 2023 a circa 5 mila lavoratrici. Sono cambiate, infatti, le condizioni di accesso alla misura. Oggi sono molto più stringenti. Possono richiedere Opzione Donna solamente le donne in condizione di svantaggio perché invalide con percentuale pari o superiore al 74%, caregiver da almeno sei mesi o licenziate oppure occupate presso un’azienda che ha dichiarato lo stato di crisi.
Tra i cambiamenti della Legge di Bilancio anche la nuova età di accesso alla forma di pensionamento anticipato. Fino allo scorso anno il requisito anagrafico era di 58 anni per le dipendenti e di 59 anni per le autonome. Dal 1° gennaio l’uscita dal mondo del lavoro sarà concessa a 60 anni sia per dipendenti che autonome ma con la possibilità di anticipare in base al numero dei figli. Potranno lasciare il lavoro a 59 anni le lavoratrici con un figlio e a 58 anni le donne con due figli.
Per quanto questo requisito risulti discriminante nei confronti di chi non ha avuto figli è stato approvato. Per quanto riguarda i contributi necessari per andare in pensione, servono 35 anni di contribuzione. Condizione determinante per l’accesso ad Opzione Donna, poi, accettare che il sistema di calcolo sia puramente contributivo. Di cosa si tratta?
Il metodo contributivo è stato introdotto nel 1996 dalla Riforma Dini e non è mai stato apprezzato dai lavoratori. Risulta, infatti, più svantaggioso rispetto al sistema retributivo poiché si basa unicamente sui contributi e non sulle retribuzioni degli ultimi cinque anni. Il sistema contributivo, dunque, prevede che il lavoratore accumuli durante la carriera lavorativa una percentuale della retribuzione annua pensionabile percepita. Tale percentuale è fissata al 33% per i lavoratori dipendenti, al 24% per gli autonomi e 24, 25 o 33% per gli iscritti alla Gestione Separata o ad altre Gestioni (se pensionati, lavoratori con Partita IVA o collaboratori occasionali).
Per calcolare la pensione servirà conoscere il montante contributivo a cui si applicano coefficienti di trasformazione differenti in base all’età di uscita del lavoratore dal mondo del lavoro. Più alta l’età, più alto sarà il coefficiente e maggiore l’importo dell’assegno. Chi andrà in pensione a 67 anni, ad esempio, potrà applicare il coefficiente del 5,72%. La lavoratrice che sceglie Opzione Donna andando in pensione a 60 anni dovrà applicare quello del 4,615%.
Solitamente il sistema contributivo è specifico per coloro che hanno iniziato a versare i contributi dal 1° gennaio 1996. Altrimenti vige il sistema retributivo (tutti i contributi maturati entro il 31 dicembre 1995) o il calcolo misto (per chi ha versato i contributi sia prima che dopo il 1996). Pur soddisfacendo queste ultime condizioni, le lavoratrici che vogliono andare in pensione con Opzione Donna dovranno accettare il calcolo con sistema contributivo.
Il metodo contributivo prevede
Una volta ottenuto il risultato si dovrà dividere per dodici per ottenere l’importo pensionistico erogato mensilmente. Come si traduce tutto questo su Opzione Donna? Per poter limitare le perdite occorrerà ritardare il più possibile il momento del pensionamento e aver maturato un più alto numero di contributi dopo il 31 dicembre 1995 (in caso contrario la perdita potrebbe arrivare al 30% dell’importo che si maturerebbe attendendo la pensione di vecchiaia).
Per capire l’entità della perdita occorre confrontare l’importo pensionistico con la pensione di vecchiaia e quello con Opzione Donna. L’esempio prende come riferimento una lavoratrice dipendente privata che ha accumulato 37 anni e tre mesi di contributi di cui meno di 18 prima del 1996 e decide di andare in pensione a 60 anni. La retribuzione mensile è di 1.200 euro con sistema misto, di 932 euro con sistema contributivo. Una differenza significativa che inciderà sulla qualità della vita della lavoratrice.
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