Andare in pensione a 58 anni non è un’utopia se al requisito anagrafico si affiancano altre condizioni. Scopriamo gli scivoli di cui approfittare.
In Italia i lavoratori possono scegliere tra diverse forme di pensionamento, alcune più vantaggiose altre meno.
Riuscire a lasciare il lavoro prima della pensione di vecchiaia – 67 anni di età e minimo venti anni di contributi – è possibile accettando dei compromessi o soddisfacendo requisiti non semplici da raggiungere. Proprio questa mancanza di flessibilità è stata più volte sottolineata dai lavoratori che ancora attendono una misura strutturale più idonea e conveniente. Arriverà, probabilmente, nel 2024 dato che il tempo a disposizione del Governo Meloni per pensare ad un’alternativa a Quota 103 è di parecchi mesi. Al momento, però, soffermiamoci sugli scivoli attivi per capire quando è possibile andare in pensione a 58 anni. Nello specifico vogliamo rispondere ad una donna che chiede “Ho 58 anni di età e 38 anni di contributi. Sto lavorando part time e assisto mio papà con la Legge 104. Con il congedo parentale quando posso andare in pensione?“.
La prima soluzione da valutare per andare in pensione a 58 anni con 38 di contributi è Opzione Donna. Nonostante i cambiamenti alla misura introdotti dal Governo con la Legge di Bilancio, la lavoratrice che ci pone il quesito può accedere a questo scivolo pensionistico ma solo in un caso. Opzione Donna è richiedibile, infatti, dalle donne che hanno compiuto i 60 anni nel 2023 e hanno maturato 35 anni di contributi. Il requisito anagrafico scende a 59 anni se la lavoratrice ha un figlio e a 58 anni se con due figli. Nel quesito tale dettaglio non è specificato, di conseguenza possiamo ipotizzare un’uscita dal mondo del lavoro con un’età compresa tra 58 e 60 anni in base ai figli avuti.
Le altre condizioni, invece, sono soddisfatte. Secondo la manovra fiscale, infatti, per accedere ad Opzione Donna nel 2023 si dovrà essere caregiver ossia assistere un familiare con handicap grave da almeno sei mesi (oppure lavorare in una azienda in stato di crisi o essere invalidi civili). La nostra lettrice assiste il papà con Legge 104 perciò avrebbe i presupposti per richiedere lo scivolo. Ricordiamo, però, che scegliendo Opzione Donna si dovrà rinunciare al calcolo misto della pensione ed accettare il calcolo puramente contributivo che potrebbe incidere negativamente sull’assegno pensionistico.
Una seconda possibilità da valutare per una lavoratrice con 58 anni di età e 38 di contributi è la RITA ossia la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata. Consiste nell’erogazione totale o frazionata del montante accumulato per il periodo di tempo decorrente dall’accettazione della domanda alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia.
Per richiedere la RITA occorrerà aver partecipato per minimo cinque anni ad una forma pensionistica complementare. Nel contempo sarà necessario cessare l’attività lavorativa, riuscire a maturare i requisiti anagrafici della pensione di vecchiaia nei 5 anni successivi e aver maturato almeno venti anni di contributi. A 58 anni, dunque, non sarebbe possibile il pensionamento ma si dovranno aspettare i 62 anni.
In alternativa l’accesso alla RITA è consentito in caso di inoccupazione per un lasso temporale minimo di 24 mesi e di maturazione del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia nei dieci anni successivi. Se disoccupate da almeno 24 mesi, dunque, si potrà andare in pensione a 58 anni.
In qualità di caregiver, la lavoratrice di 58 anni che intende andare in pensione potrebbe pensare di poter accedere all’APE Sociale. Tale prestazione che accompagna il lavoratore fino alla pensione di vecchiaia, infatti, ha come destinatari solo quattro categorie. I disoccupati, i lavoratori addetti a mansioni gravose, gli invalidi al 74% e i caregiver da almeno sei mesi.
Ciò che frena la nostra lettrice è l’età. Per accedere all’APE Sociale, infatti, occorre avere 63 anni di età (30 minimi di contributi o 36 se addetti a mansioni gravose). Stesso discorso per Quota 41. Pur non essendoci requisito reddituale da rispettare, condizione necessaria per andare in pensione è la maturazione di 41 anni di contributi. Trentotto anni di versamenti non sono sufficienti come requisito contributivo.
C’è un ultimo dettaglio da valutare, poi. Nel quesito si parla di congedo parentale ossia della possibilità di assentarsi dal lavoro anche per un lungo periodo – fino a due anni – per assistere un familiare con invalidità grave. Occorre approfondire l’incidenza di questo congedo sulla contribuzione maturata.
Il congedo straordinario o parentale ha il vantaggio di consentire la retribuzione ordinaria (ultima mensilità percepita solo per le voci fisse e continuative) anche durante l’assenza dal lavoro ma ha un grande svantaggio, penalizza la carriera. L’anzianità, infatti, viene interrotta (circolare INPS numero sei del 16 gennaio 2014).
La somma riconosciuta ha dei limiti da rispettare che penalizza chi ha gli stipendi più elevati e sulla cifra spettante viene applicata una contribuzione figurativa pari al 33% del totale. La soglia massima dei contributi figurativi riconosciuti al lavoratore in congedo è di 12.322,53 euro all’anno. In totale, dunque, tra indennità e contribuzione figurativa non si potranno superare i 43.579,06 euro annui secondo quanto appreso dal Dipartimento per le Politiche e le Famiglie.
I contributi versati per la pensione futura, dunque, saranno in numero inferiore maggiore è la retribuzione del lavoratore. Chi non perde nulla sono i lavoratori con retribuzione lorda inferiore al limite massimo dato che non avranno alcun problema di contribuzione né di assegno pensionistico.
Occorre ricordare, però, che il calcolo dei contributi figurativi può variare a seconda di alcuni fattori. La prima variabile è la Gestione previdenziale di appartenenza – fondo pensione lavoratori dipendenti, artigiani, dipendenti pubblici, commercianti. La seconda è il periodo coperto dalla contribuzione figurativa. Gli ultimi due fattori sono la tipologia di contribuzione figurativa e la tipologia dei periodi coperti.
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