Le Legge Dini consente di andare in pensione con 64 anni di età a determinate categorie di persone. Scopriamo chi ne potrà approfittare.
Facciamo un passo indietro fino al 1995 quando è stata pubblicata la Legge Dini che ancora oggi consente il pensionamento a 64 anni.
Tanti lavoratori conoscono le forme di pensionamento più recenti ma spesso dimenticano o non sanno che per lasciare il lavoro è possibile fare affidamento a vecchie Leggi ancora attive. Il riferimento è alla Legge Dini che offre l’opportunità di andare in pensione anticipata a 64 anni esercitando l’opzione al contributivo. Prima di approfondire questo scivolo scopriamo quali sono le alternativa da valutare nel 2023. Iniziamo dalla pensione di vecchiaia che permette il pensionamento a 67 anni di età con venti anni di contributi. Ogni lavoratore che non soddisfa i requisiti di accesso ad altre forme dovrà necessariamente puntare a questo scivolo. E se non si dovessero raggiungere i 20 anni di contribuzione occorrerebbe attendere i 71 anni. Citiamo, poi, la pensione anticipata ordinaria per lasciate il lavoro con 41 anni e dieci mesi di contributi se donne (un anno in più se uomini) indipendentemente dall’età.
Numerosi anche i contributi per Quota 41, la pensione per precoci e Quota 103, attivata solo per l’anno in corso. L’ultima Quota permette il pensionamento a 62 anni di età con 41 di contributi. Concludiamo con Opzione Donna e l’APE Sociale, misure che si rivolgono ad una stretta platea di beneficiari.
Arriviamo all’argomento centrale del nostro articolo di oggi. Un lettore ha domandato “Con la Legge Dini mi conviene andare in pensione? Ho 64 anni e dal 1986 ho versato circa 30 anni di contributi“.
Giustamente l’interessato deve escludere la pensione di vecchiaia per mancanza del requisito anagrafico così come ogni altro scivolo che richiede 41 anni di contribuzione. Anche l’ultima arrivata Quota 103, dunque, non è esercitabile. In questo caso non per la mancata soddisfazione del requisito anagrafico ma contributivo.
Rimane l’APE Sociale (63 anni di età e 30 di contributi oppure 36 se addetti alle mansioni gravose) ma si dovrà essere disoccupati, caregiver da almeno sei mesi, invalidi dal 74% in poi oppure lavoratori che svolgono mansioni gravose. Presupponiamo che il lettore non appartenga a nessuna di queste categorie dato che non accenna nulla in tal senso.
I 64 anni di età, però, lasciano pensare alla possibilità di pensionamento con la Legge Dini e l‘opzione contributiva. Condizione necessaria per avvalersi di questa formula è aver maturato un assegno pensionistico pari o superiore a 2,8 volte il trattamento minimo. Dato che quest’ultimo nel 2023 risulta essere di 563,73 euro (grazie al meccanismo di perequazione) la soglia minima per usufruire della Legge Dini sarà di 1.578,444 euro. Tale dettaglio non è specificato nel quesito perciò non possiamo definire con certezza se il lettore può avvalersi o meno dello scivolo.
Oltre all’importo minimo dell’assegno, la Legge Dini presuppone la soddisfazione di altri requisiti relativi alla contribuzione.
I primi due requisiti sono soddisfatti dal lettore che ci ha posto il quesito. Avendo iniziato a versare contributi nel 1986 al 31 dicembre 1995 ne avrà versati massimo nove. Avendo raggiunto, poi, i trent’anni di contribuzione, cinque anni dovranno essere stati versati necessariamente dal 1° gennaio 1996. Il terzo punto – così come il raggiungimento dell’importo minimo di 2,8 il trattamento minimo – dovrà essere verificato dall’interessato.
Rientrando tra i beneficiari dell’opzione Dini quali saranno le conseguenze di lasciare il lavoro a 64 anni? La Legge presuppone la necessità di esercitare l’opzione contributiva. Ciò significa che l’assegno pensionistico verrebbe calcolato interamente con sistema contributivo. L’importo risulterà inferiore rispetto al calcolo con sistema misto, quello che spetterebbe al lavoratore che ha iniziato a lavorare nel 1986.
Adottando il sistema misto, infatti, i nove anni di contributi maturati fino al 31 dicembre 1995 verrebbero conteggiati con calcolo retributivo – più vantaggioso – e gli anni seguenti con calcolo contributivo – più svantaggioso. Scegliendo la Legge Dini e il pensionamento a 64 anni tutti i 30 anni di contributi rientrerebbero nel sistema di calcolo contributivo. Questo richiede il conteggio del montante contributivo basato sulla percentuale di retribuzione annua (33% per dipendenti e 24% per autonomi) accumulata durante la carriera lavorativa e l’applicazione di un coefficiente di trasformazione che dipende dall’età di pensionamento (con 64 anni corrisponderà al 5,18%).
Considerando che il numero di contributi che andrebbero calcolati con sistema retributivo non è alto, la differenza sull’importo finale dell’assegno pensionistico non sarà eccessiva. Possiamo stimare intorno al 10%/15% circa.
La scelta finale, dunque, sarebbe tra recuperare una somma non definibile in questa sede nell’assegno aspettando i 67 anni di pensionamento oppure lasciare il lavoro a 64 anni e godersi la “libertà” ottenendo una pensione più bassa. Per avere un’idea della perdita basterà utilizzare il simulatore presente sul sito dell’INPS procedendo con due conteggi, uno considerando la pensione di vecchiaia e l’altro l’opzione Dini.
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