I forfettari incontrano problemi in relazione ai contributi previdenziali volontari e alla compensazione. Cerchiamo di sciogliere i nodi.
La domanda a cui rispondere è se la compensazione comporta il recupero a tassazione dei contributi. Andiamo per gradi.
Il regime forfettario presenta dei vantaggi rispetto al regime ordinario ma anche dei limiti. Possono accedervi i contribuenti con reddito inferiore a 85 mila euro e che non hanno superato la soglia di spesa di 20 mila lordi annui a titolo di lavoro dipendente e per collaboratori. Il forfettario è l’unico regime agevolato disponibile in Italia, garantisce un’aliquota del 15% sull’imponibile che si riduce al 5% per i primi cinque anni se si avvia una nuova attività. Tra gli svantaggi la mancata opportunità di detrarre le spese per i familiari a carico, le spese mediche, i costi sostenuti per le ristrutturazioni o il risparmio energetico e ogni detrazione personale ammessa al 730. Sui ricavi/guadagni si pagano le tasse e non si ha possibilità di detrazione delle spese, questo il dettaglio di maggior rilievo.
C’è poi il problema dei contributi previdenziali volontari da sottolineare. Le eccedenze dei versamenti della contribuzione previdenziale e di quella versata volontariamente sono deducibili solamente dal reddito complessivo ai fini IRPEF. Cosa significa e cosa comporta?
L’articolo 10 comma 1 del TIUR stabilisce che ai fini IRPEF – imposta sul reddito delle persone fisiche – i contributi previdenziali e assistenziali versati in ottemperanza alle disposizione di Legge e quelli maturati facoltativamente sono deducibili dal reddito complessivo. Il discorso deve essere approfondito per i forfettari. Questi contribuenti, infatti, determinano l’imposta sostitutiva dell’IRPEF con modalità non analitiche.
Per calcolare il reddito forfettario occorre applicare ai ricavi un coefficiente di redditività per sostituire la non riconosciuta deduzione dei costi. Al risultato così ottenuto si dovrà applicare, poi, l’aliquota d’imposta del 5 o del 15% per scoprire l’ammontare dell’imposta da corrispondere.
La modalità analitica è riconosciuta, invece, solamente con riferimento ai contributi previdenziali. Occorre sapere, però, che la deduzione non è riconosciuta come abbiamo capito dall’articolo 10 del TIUR prima citato. Lì si parla di IRPEF e non di imposta sostitutiva. Il riconoscimento è legato all’articolo 1 comma 64 della Legge 190/2014 che stabilisce come i contributi previdenziali versati in ottemperanza a disposizioni di Legge vengano dedotti dal reddito dei forfettari.
La normativa, dunque, consente la deduzione dei contributi previdenziali obbligatori dal reddito dei contribuenti forfettari. L’importo è indicato nel rigo LM35 “Contributi previdenziali e assistenziali” del modello Redditi PF (quadro LM) e comporterà la riduzione per equivalente del reddito lordo.
Se il contribuente ricevesse rimborsi INPS per contributi versati in eccedenza in passato e regolarmente dedotti, questi rimborsi saranno assoggettati ad imposta sostitutiva nell’anno della restituzione. Gli importi concorreranno, poi, con segno negativo all’importo dei contributi. La cifra dovrà essere inserita sempre nel rigo LM35.
Cosa accade se l’ammontare dei contributi previdenziali obbligatori versati supera il reddito complessivo? L’eccedenza dovrà essere riportata nel rigo LM49 e potrà essere dedotta dal reddito totale ai fini IRPEF. Stesso discorso per la contribuzione volontaria. Sarà deducibile ai fini IRPEF ma non ai fini del reddito forfettario.
Le deduzioni andranno perse se il lavoratore percepisce solamente redditi forfettari. Potranno essere dedotte dal reddito complessivo se il lavoratore percepisce anche redditi da lavoro dipendente, di fabbricati o simili a condizione che siano soggetti a IRPEF.
La situazione appena descritta rappresenta un grande limite per i forfettari. Le imposte sostitutive tendono a favorire che produce redditi diversi, questa è una constatazione inattaccabile. L’aliquota unica e progressiva grava pesantemente su chi ha come fonte reddituale unicamente il reddito forfettario.
I lavoratori con redditi diversi, invece, trarranno dei vantaggi. Grazie alla tassazione sostitutiva possono, infatti, dividere la base imponibile, dedurre le eccedenze sia dei contributi previdenziali che di quelli volontari nonché sfruttare le detrazioni d’imposta cosa impossibile per i soli forfettari.
Poniamo l’esempio di un contribuente che nel 2021 ha versato contributi previdenziali per 4 mila euro come acconto e abbia poi proceduto con la compensazione con un credito 2020 (contributi dedotti dal reddito complessivo attraverso il quadro RP) di 1.500 euro. Nel rigo ML35 dovrà indicare 2.500 euro ossia la differenza tra 4 mila e 1.500 euro. L’Agenzia delle Entrate propone questa soluzione anche se si scontra con le indicazioni di compilazione del suddetto rigo già presentate.
“Gli eventuali contributo previdenziali versati e dedotti in anni precedenti – in costanza del regime forfettario – e restituiti dall’ente previdenziale sono assoggettati ad imposta sostitutiva nell’anno in cui avviene la restituzione“. Come risolvere la problematica? Si potrebbe in caso di compensazione tassare proporzionalmente il credito compensato dividendolo in LM35 – in negativo – e RM9. E se i contributi utilizzati in compensazione superassero i contributi pagati nell’anno di riferimento? Nella risposta 400 del 2019 l’Agenzia delle Entrate conclude dicendo che ai soli fini di determinazione del reddito da assoggettare a imposta sostitutiva secondo il regime forfettario, il contributo previdenziale dedotto dal periodo d’imposta precedente dovrà essere rettificato e recuperato a tassazione nel periodo d’imposta successivo indicandolo nel rigo LM35 del quadro LM.
Una risposta non esaustiva che lascia ancora dubbi nei contribuenti.
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