Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) sarà soggetto nel 2023 alla rivalutazione del 10%. L’inflazione farà sorridere i lavoratori ma attenzione all’altra faccia delle medaglia.
Se da un lato l’anno in corso sarà positivo per il Tfr dall’altro potrebbe rivelarsi pessimo – come il 2022 – per i Fondi pensioni. Scopriamo di più.
Il Trattamento di Fine Rapporto è una somma di denaro corrisposta al lavoratore nel momento in cui termina un rapporto di lavoro. Viene erogato ai dipendenti privati e a quelli pubblici se assunti dopo il 1° gennaio 2020. L’importo che ogni lavoratore riceverà dipende dall’accantonamento per ogni anno di servizio di una specifica quota della retribuzione annua e delle corrispondenti rivalutazioni. Se il Trattamento supererà i 50 mila euro verrà erogato in due rate, se inferiore in una rata sola mentre se superiore ai 100 mila euro verrà versato in tre rate. Non occorrerà fare domanda per ricevere la prestazione, l’INPS procederà d’ufficio non appena rilevata l’interruzione del rapporto di lavoro. I tempi di attesa corrispondono a circa dodici mesi ma i lavoratori possono chiedere un anticipo della somma anche durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Dopo aver definito il quadro generale del Tfr soffermiamoci sulla rivalutazione relativa all’anno in corso.
Lo scorso 17 gennaio, l’ISTAT ha stabilito l’indice nazionale dei prezzi al consumo (con riferimento al mese di dicembre 2022) ossia il valore che viene utilizzato per calcolare la rivalutazione annuale del Trattamento di Fine Rapporto nonché dei crediti di lavoro. Nel 2023 raggiunge il 10% – nello specifico il 9,974576%. Parliamo di uno degli aumenti più consistenti dell’ultimo trentennio che significherà per i lavoratori poter contare su una somma più consistente.
Tutto dipende dall’aumento dell’inflazione nel 2022. Avrà fatto e sta ancora facendo enormi danni – basti pensare al costo della vita eccessivo o ai tassi di interesse dei mutui – ma almeno ha comportato un aumento non solo delle pensioni ma anche del Tfr. Si è arrivati a sfiorare il 10% grazie al sistema di calcolo della perequazione. Questo prevede di sommare una base fissa dell’1,5% con una quota variabile corrispondente al 75% dell’incremento dell’indice dei prezzi al consumo stimato dall’INPS. Si tiene conto, come accennato, del mese di dicembre dell’anno precedente. Il quasi 10% verrà applicato, poi, alla somma accumulata di TFR al 31 dicembre 2021 dato che l’ultimo anno sarà escluso dalla rivalutazione.
Procedendo con questo calcolo si scoprirà il costo per l’azienda. Solamente in rari casi la perequazione non risulta a carico dei datori. Generalmente nelle aziende con meno di 50 dipendenti la rivalutazione del Tfr è a carico dei datori di lavoro a meno che il Trattamento di Fine Rapporto non sia stato trasferito in Fondi di previdenza complementare. In questo caso la rivalutazione sarà compito dell’INPS. Spetterà al datore di lavoro, invece, calcolare la rivalutazione, versare l’imposta sostitutiva a carico del dipendente (17%), erogare l’anticipo del Trattamento e ogni altro onere amministrativo. L’azienda recupererà gli importi, poi, sottraendoli dal debito contributivo contratto con l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
Tanti lavoratori hanno dubbi sulla convenienza del Tfr rispetto ai Fondi pensioni. Questi sono strumenti di risparmio a lungo termine volti a garantire al cittadino un reddito aggiuntivo al termine dell’attività lavorativa. Reddito che andrà ad aggiungersi alla pensione erogata dall’INPS.
Il lavoratore può scegliere di destinare il Tfr al Fondo pensione totalmente oppure parzialmente dopo aver valutato rischi e vantaggi di una tale scelta. Possono aderire ai Fondi sia i dipendenti pubblici che privati nonché gli autonomi, i professionisti, i soci di cooperative e i titolari di pensione che voglio accumulare soldi per ricevere una rendita aggiuntiva in futuro. Il funzionamento è semplice. Si versano contributi e una volta raggiunta la quota stabilita si otterrà la pensione extra.
Il cittadino potrà scegliere tra diverse tipologie di Fondi come quelli aperti e quelli chiusi. I primi possono essere sottoscritti sia in forma individuale che collettiva e il capitale versato viene separato dall’attività dell’ente gestore o dell’istituto bancario. I secondi, invece, nascono da accordi collettivi tra dipendenti e datori di lavoro e sono riservati solamente ad una determinata categoria contrattuale.
Se fino al 2021 la convenienza dei Fondi pensioni era indiscussa, il 2022 ha ribaltato le opinioni generali. Questo perché è strettamente connessa con l’andamento della gestione finanziaria del Fondo stesso. Il guadagno era facilmente prevedibile prima del 2022 ma l’anno passato ha cambiato le carte in tavola. Colpa dell’aumento record dell’inflazione che ha fatto aumentare i rendimenti del Tfr mentre quelli dei Fondi sono retrocessi.
Da un lato, dunque, i rendimenti si sono alzati del 10% circa, dall’altro hanno subito un ribasso del 10,6 (Fondi pensione negoziali) e del 12,2% (Fondi aperti). Perdite del 12,4%, poi, anche per i piani individuali pensionistici di ramo III. In totale si sono perduti 10,9 miliardi di euro.
Quali le conclusioni? Solo il denaro rimasto in azienda è stato al sicuro nel 2022. Presumibilmente sarà lo stesso anche nel 2023. Ciò significa che i lavoratori farebbero bene a tenersi stretto il proprio Trattamento di Fine Rapporto evitando di scegliere, per il momento, altre strade meno sicure.
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