Come funziona il sistema di calcolo contributivo e quando permette il pensionamento. Approfondiamo un argomento di interesse per tanti lavoratori.
I lavoratori hanno molto a cuore il tema “pensione” ma non sempre hanno le idee chiare sugli scivoli e i conteggi dell’assegno.
Il sistema pensionistico italiano è vario e può creare confusione tra i lavoratori. A che età si può andare in pensione? “Ufficialmente” a 67 anni ma c’è chi può lasciare il lavoro a 63 anni, chi a 60, chi a 64 anni. E con quanti contributi? Ad alcune persone bastano 20 anni, ad altre servono 41 anni di contribuzione, ad altri ancora 15 anni oppure 25. Una gran confusione dettata dalla corrispondenza tra diversi requisiti che messi insieme permettono l’utilizzo di una determinata forma di pensionamento. Quota 103, Opzione Donna, l’APE Sociale, la pensione per precoci, Quota 41, la pensione di vecchiaia e quella anticipata ordinaria sono i trattamenti più noti che consentono di lasciare il lavoro soddisfacendo condizioni anagrafiche e/o contributive. I contributi, l’importanza che rivestono nel conteggio dell’assegno pensionistico è rilevante ma non tutti i lavoratori sanno esattamente come incidono né quale sia la differenza tra sistema contributivo, misto e retributivo. È arrivato il momento di scoprirlo ma non prima di aver cercato di sciogliere un dubbio ad una nostra lettrice.
La risposta è “sì” ma occorre fare delle puntualizzazioni. Una lettrice chiede “Sono una donna di 64 anni di età con 25 anni di contributi versati di cui 9 prima del 1995. Se accetto tutto contributivo posso essere collocata in pensione?“. Il sistema pensionistico italiano consente il pensionamento a 64 anni con soli venti anni di contributi effettivi maturati ma solamente ad una condizione. Non si dovranno possedere contributi versati al 31 dicembre 1995 e dunque si dovrà rientrare nel sistema di contribuzione puro. Ma accettando il computo nella Gestione Separata (rinunciando dunque al calcolo con sistema misto) allora le condizioni cambiano. Si potrà andare in pensione a 64 anni avendo
Soddisfacendo tutti i requisiti elencati, anche la lettrice potrebbe andare in pensione accettando, però, il sistema di calcolo interamente contributivo. Inoltre sarà necessario che il trattamento previdenziale risulti essere almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Rientrando in questa possibilità si dovrà accettare una perdita di circa il 30/50% sull’assegno pensionistico. Consigliamo, dunque, di procedere con una simulazione del calcolo dell’assegno pensionistico sul sito dell’INPS per capire se i requisiti sono soddisfatti e se conviene realmente non attendere i 67 anni e approfittare del sistema di calcolo misto.
Altre alternative per chi ha pochi anni di pensione sono le deroghe Amato. Ne bastano 15 ma solamente soddisfacendo specifiche condizioni. Poi c’è la RITA che permette il pensionamento con 25 anni di anzianità contributiva ma con requisiti che la lettrice non soddisfa.
Per calcolare la pensione occorre tener conto degli anni di contributi maturati. Come abbiamo visto risultano fondamentali per maturare i requisiti necessari per accedere alle varie forme di pensionamento ma anche per determinare l’importo che si andrà ad ottenere. In Italia esistono tre sistemi di calcolo, retributivo – che andrà a sparire nei prossimi anni – misto e contributivo. Tutto dipende dall’anzianità maturata al 31 dicembre 1995 secondo quanto stabilito dalla Riforma Dini. Il primo si utilizza nel caso in cui si possa contare su 18 anni minimo di contributi al 31 dicembre 1995. Attualmente è limitato all’anzianità acquisita fino al 31 dicembre 2011.
Il sistema misto è il criterio usato per chi ha meno di diciotto anni di contributi maturati al 31 dicembre 1995 e la parte restante dopo il 1° gennaio 1996. Tutti i nuovi assunti dal 1° gennaio 1996, invece, dovranno applicare il sistema di calcolo contributivo puro basato unicamente sui contributi e non sulle retribuzioni degli ultimi cinque anni nonché su un valore del 2% per ogni anno di lavoro. Dal 1° gennaio 2012, poi, il sistema contributivo riguarda tutti i lavoratori (Riforma Monti-Fornero).
Il sistema contributivo risulta più svantaggioso rispetto al retributivo e al misto. Tiene conto dei contributi maturati dall’inizio della carriera lavorativa ossia dal momento di iscrizione ad un ente pensionistico previdenziale. Negli anni si accantonerà una somma pari al 33% per i dipendenti e al 25% per gli autonomi. I contributi maturati andranno sommati e moltiplicati per il tasso legato alla dinamica quinquennale del PIL e all’inflazione. Si otterrà, così, il montante contributivo su cui applicare il coefficiente di trasformazione – una percentuale specifica legata all’età del lavoratore al momento del pensionamento.
Nel 2023, ad esempio, il coefficiente è del 5,72% per 67 anni di età, del 5,18% per 64 anni di età e del 4,62% per 60 anni di età. Più alta sarà l’età del pensionato più alto sarà il coefficiente e, di conseguenza, maggiore sarà l’importo dell’assegno pensionistico. Revisionati automaticamente ogni due anni, i coefficienti devono essere applicati alla sola quota contributiva della pensione. Non riguardano, dunque, il sistema retributivo.
Una volta ottenuto il risultato basterà dividere l’importo per tredici mensilità e si conoscere la somma lorda erogata ogni mese come pensione. Ricordiamo che dovrà superare di 2,8 volte l’assegno sociale per poter andare in pensione a 64 anni con minimo venti anni di contributi. Significa che dovrà essere di almeno 1.409,156 euro essendo l’assegno sociale di 503,27 euro nel 2023.
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