Usare le colonnine pubbliche di ricarica degli smartphone può essere molto pericoloso, e un avviso che arriva nientemeno che dall’FBI lo conferma. Quali sono i pericoli nascosti?
Specialmente coloro che passano molto tempo lontano da casa sanno che le stazioni di ricarica pubbliche per cellulari sono un ‘salvagente’ quando l’autonomia del dispositivo inizia a vacillare.
Tuttavia bisogna prestare molta attenzione a queste colonnine che, all’apparenza, sembrano del tutto innocue ed anzi fondamentali per dare allo smartphone quella ricarica idonea a tenerlo acceso per tutto il periodo lontano dalla propria abitazione e dunque dalla presa della corrente domestica.
D’altronde oggi lo smartphone è uno strumento fondamentale e di cui la stragrande maggioranza delle persone non può fare a meno – e non soltanto per ragioni lavorative. Il dispositivo infatti permette di fare chiamate d’emergenza, mandare messaggi importanti o anche seguire il navigatore satellitare.
Ma come abbiamo detto, ricaricarlo presso una colonnina pubblica riserva insidie. Ecco perché.
Lo abbiamo detto sopra: l’allarme arriva addirittura dall’FBI – con un comunicato stampa – e già da questo si può intuire la portata del pericolo potenziale. Il messaggio sostanzialmente è: attenti a ricaricare il cellulare alle colonnine pubbliche in stazioni e aeroporti, perché c’è il rischio di cadere vittima di malintenzionati e del cosiddetto “juice jacking”.
Ma di che si tratta esattamente? Ebbene il juice jacking altro non è che un tipo di attacco informatico che prende di mira una porta di ricarica, che funge anche da connessione dati, in genere via USB.
In sintesi, si tratta di una tecnica illegale con cui gli hacker rubano i dati dei dispositivi mobili, come smartphone e tablet, per il tramite del caricabatterie USB. Se ci si chiede dell’origine del termine, rispondiamo che l’invenzione si deve ai ricercatori della società di sicurezza informatica Kaspersky Lab nel 2011. Presto è divenuto famoso in tutto il mondo grazie a una campagna di prevenzione rivolta soprattutto agli utenti meno esperti e più soggetti dunque alle azioni dei criminali informatici.
Lo abbiamo detto sopra ma giova ribadirlo: negli ultimi tempi, con un comunicato ad hoc, l’FBI ha rimarcato l’opportunità di adottare misure di sicurezza informatica contro questo tipo di minaccia e lo ha fatto, in particolare, suggerendo di evitare di utilizzare stazioni di ricarica gratuite smartphone in aeroporti, alberghi o centri commerciali. Gli hacker infatti si sono ulteriormente evoluti e hanno capito come fare per usare le porte USB pubbliche al fine di introdurre malware e software di monitoraggio sui dispositivi che accedono a queste porte. Il furto di dati è dunque dietro l’angolo, se non si è sufficientemente accorti.
Ed attenzione anche a quanto segue: il rischio non riguarda le semplici prese di corrente, alle quali attaccare il proprio caricabatterie, ma le porte USB che consentono di ricaricare il proprio device servendosi soltanto del cavetto.
Ciò che preme ricordare è che proprio per il tramite della porta USB, i criminali informatici hanno libero accesso ai dati e alle informazioni presenti negli smartphone degli ignari possessori e, pertanto, possono rubarli facilmente e farne un uso inappropriato. Non solo. Grazie a questa tecnica gli hacker possono anche installare software “maligni” come virus capaci di tracciare gli spostamenti, i movimenti in banca e addirittura le abitudini di chi sta usando il dispositivo.
Le soluzioni in questi casi sono soltanto due. Anzitutto è preferibile portarsi da casa il proprio caricabatterie, con lo spinotto, così da poterlo attaccare ad una delle prese di corrente. Altrimenti si può comprare un power-bank, ovvero un caricatore portatile ideato appositamente per ricaricare i propri dispositivi elettronici quando si è in giro.
Ecco allora come comportarsi in dette circostanze: informazioni come quelle fornite dall’FBI sono di vitale importanza per chi non voglia subire il furto di dati soltanto perché si è ‘fidato’ di una colonnina gratuita di ricarica smartphone.
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