La F1 è la categoria più amata dai fan, ma nel passato abbiamo assistito a tante tragedie. Ecco tutti coloro che sono scomparsi.
La storia della F1 è ricca di pagine bellissime e di imprese leggendarie, ma essendo uno sport in cui si raggiungono delle velocità massime eccezionali, il rischio è sempre dietro l’angolo. Nel corso della storia, parlando solo dei fine settimana di gara, sono morti oltre 30 piloti.
Altri, invece, sono periti durante alcuni test, ed anche loro non vanno affatto dimenticati. Nelle prossime righe, vi parleremo di tutti coloro che sono scomparsi in F1, facendo ciò che amavano più di tutto. La loro memoria, ne siamo certi, non verrà mai scordata anche nel futuro.
Il primo pilota a morire nella storia della F1 è stato Chet Miller, che nel 1953 perì durante la 500 Miglia di Indianapolis. A quel tempo, infatti, la mitica gara che fa ora parte del calendario della Indycar apparteneva alla massima formula, anche se non tutti i piloti vi prendevano parte. Quella corsa fu fatale, nello stesso anno, anche a Carl Scarborough.
Nel 1954, al GP di Germania, la sorte si prese Onofre Marimòn, ma poi fu ancora Indianapolis a fare strage. Nel 1955 toccò a Manny Ayulo e Bill Vukovich, nel 1957 a Keith Andrews e nel 1958 a Pat O’Connor. Sempre nello stesso anno, al GP d’Italia, morì l’italiano Luigi Musso, e nel GP di Germania Peter Collins. Il 1958 fu un anno di sangue per la F1, che perse anche Stuart Lewis-Evans in Marocco.
Nel 1959 se ne andò Jerry Unser, ancora una volta ad Indianapolis, così come Bob Cortner. L’anno dopo fu fatale a Chris Bristow e Alan Stacey, mentre nel 1961 venne colpito Wolfgang Von Trips. Dopo alcuni anni di pace, nel 1964 la morte tornò negli autodromi, strappando alla vita Carel Godin de Beaufort.
Nel 1967 se ne andò il nostro Lorenzo Bandini, un anno dopo John Taylor ed uno prima rispetto a Jo Schlesser. Nel 1970 avvenne l’unico caso di pilota campione del mondo postumo, visto che Jochen Rindt morì vincendo comunque il campionato, e lo stesso anno se ne andò anche Piers Courage.
Il 1973 costò la vita a Roger Williamson e Francois Cevert, mentre il 1974 fu l’anno della morte di Helmuth Koinigg. L’anno dopo toccò a Mark Donohue, mentre nel 1977 fu Tom Pryce a perire. Il 1978 è un anno difficile da dimenticare, vista la morte a Monza del grande Ronnie Peterson, che precedette quella di Gilles Villeneuve del 1982.
Nello stesso anno ci lasciò anche il nostro Riccardo Paletti, ed in quella decade, se ne andò anche Elio De Angelis, per il quale fu fatale un incidente in un test a Le Castellet nel 1986. In seguito, le cose iniziarono a cambiare, anche se le tragedie non scomparvero del tutto.
Il fine settimana che ha cambiato per sempre la storia della F1 è stato quello del Gran Premio di San Marino del 1994, quando vennero a mancare ben due piloti. Il 30 aprile, durante le qualifiche, fu Roland Ratzenberger, debuttante della Simtek-Ford, a rimetterci la pelle.
Il primo maggio, al settimo giro della gara, il dramma colpì il più amato di tutti, vale a dire Ayrton Senna, che rimase ucciso nello schianto del Tamburello. Da quel momento in poi, il Circus è cambiato del tutto, anche se la tragedia, come vedremo nelle prossime righe, è sempre dietro l’angolo.
La F1 conobbe un momento di “serenità”, se così la si può definire, dopo la morte di Ayrton Senna. A partire dal 1995, infatti, il Circus iniziò a pensare in maniera seria alla vita dei piloti, cercando di rinforzare le vetture e di migliorare i circuiti, in modo che non fossero più troppo pericolosi.
In questo sport, tuttavia, non si può mai avere la certezza assoluta, ed infatti in alcuni casi si è rischiata la tragedia. Proprio nel 1995, durante le prove del GP d’Australia di Adelaide, Mika Hakkinen ebbe un bruttissimo incidente, finendo anche in coma per alcuni giorni. Nel 1999 fu Michael Schumacher, in quel di Silverstone, ad avere un terribile incidente a Silverstone, fratturandosi tibia e perone.
Un grandissimo spavento è capitato nel 2009 a Felipe Massa, che venne colpito da una molla proveniente dalla Brawn GP di Rubens Barrichello durante le qualifiche del Gran Premio di Ungheria. Il brasiliano perse conoscenza e venne operato, ma riuscì a salvarsi pur saltanto tutta la seconda parte di stagione.
La fortuna non ha aiutato Jules Bianchi nel maledetto Gran Premio del Giappone del 2014, quando il pilota della Marussia, giovane talento cresciuto dalla Ferrari, si schiantò contro una gru negli ultimi giri sulla pista di Suzuka. Il mezzo stava spostando la Sauber incidentata di Adrian Sutil, quando il francese perse il controllo sul fondo viscido.
Bianchi prese in pieno la gru e finì in coma, senza mai più riprendere conoscenza. L’impatto avvenne il 5 ottobre del 2014, e la morte sopraggiunse il 17 luglio dell’anno dopo, in un ospedale di Nizza. Un altro che è andato vicino al dramma è Romain Grosjean, salvo per miracolo nel rogo della sua Haas nel 2020, durante il Gran Premio del Bahrain. A questi livelli, la sicurezza non sarà mai abbastanza.
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