Siamo in un momento clou per quanto riguarda una cura per l’Alzheimer. Si guarda già oltre i vaccini e si cerca la terapia preventiva per antonomasia.
Gli scienziati stanno facendo passi da gigante per quanto riguarda la lotta all’Alzheimer, la malattia neurodegenerativa che per adeso non lascia scampo a chi ne soffre.
Fino ad oggi gli ammalati di demenza e Alzheimer potevano contare solamente su cure mirate a rallentare il decorso, e limitare la sintomatologia. Poi l’annuncio delle case farmaceutiche sulla sperimentazione di un vaccino.
Tra gli altri, spicca il Lecanemab, che è stato recentemente approvato dalla FDA. Non si tratta propriamente di un vaccino per come lo intendiamo, ma di una terapia che – secondo i risultati delle sperimentazioni – può garantire un rallentamento consistente.
La storia del Lecanemab ci insegna che adesso le tempistiche per avere disponibilità di nuovi farmaci e cure si sono drasticamente ridotte, grazie all’avanzamento delle tecnologie scientifiche. L’FDA ha approvato questo farmaco dopo che uno studio aveva dimostrato risultati incoraggianti: una progressione della malattia inferiore del 27% in soli 18 mesi di trattamento.
EMA e AIFA invece ancora non hanno emesso la propria approvazione, ma sicuramente arriverà presto e tutti i pazienti affetti da Alzheimer potranno contare su una nuova cura. Oggi però sappiamo che la Ricerca non si è fermata, tutt’altro, perché allo studio c’è un altro “vaccino”. Ecco di cosa si tratta.
Il morbo di Alzheimer una volta che è cominciato non lascia scampo ai malati, e le cure che oggi esistono riescono solamente in parte ad alleviare la loro sofferenza e quella dei familiari.
Il vaccino Lecanemab è promettente ma adesso è in arrivo un’altra svolta, e chissà che non sia quella definitiva. Alcuni ricercatori stanno sperimentando un nuovo approccio alla malattia, chiamato “prevenzione primaria” e riguarda le persone che hanno la malattia di Alzheimer genetico.
Come sappiamo, oltre ai fattori di rischio ambientale e agli stili di vita, anche la predisposizione genetica svolge un ruolo importante in questa malattia. Chi sa di avere la mutazione che innescherà il morbo potrà contare su un “vantaggio” anche di 25 anni, poiché potrà curarsi col nuovo farmaco che adesso è in fase di sperimentazione.
La domanda che si sono fatti gli scienziati è infatti la seguente: “se si somministra una terapia antiamiloide si può impedire totalmente che la malattia insorga?” Ed è da qui che sono cominciati gli studi clinici, che al momento sembrano molto promettenti.
Il futuro della medicina, dunque, potrebbe essere totalmente preventivo, e non più curativo: sulla base delle predisposizioni genetiche si potranno sconfiggere le malattie prima che si presentino.
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