Quali sono i pericoli per coloro che non dichiarano all’INPS i redditi percepiti per accedere alle agevolazioni economiche? Il caso esaminato dalla Cassazione.
Con la sentenza n. 41894 del 16 ottobre 2023 della Terza Sezione Penale, la Corte di Cassazione ha applicato il principio della particolare tenuità del fatto ad alcune false dichiarazioni rese all’INPS da un percettore del Reddito di Cittadinanza.
Tale condotta, ai sensi dell’art. 7, comma 2, del D.L. n. 4/2019, sarebbe dovuta essere punita con la reclusione da due a sei anni. In quest’ipotesi, infatti, si configurerebbe una truffa ai danni dell’INPS, al fine di ottenere dei sussidi pur non possedendone le condizioni.
Se, però, si applica la particolare tenuità del fatto, l’imputato non viene punito se:
Tutti questi casi comportano l’estinzione del processo penale e la non punizione del reo. Permangono, tuttavia, gli obblighi risarcitori a carico dell’interessato che, quindi, dovrà restituire quanto indebitamente percepito.
La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un cittadino che era stato accusato di aver presentato all’INPS una dichiarazione attestante redditi inferiori rispetto a quelli realmente percepiti, per ottenere il Reddito di Cittadinanza.
Quest’ultimo sussidio, infatti, è legato al possesso di specifici requisiti reddituali.
Al riguardo, la Suprema Corte ha analizzato se ci fossero gli estremi per l’applicazione del principio della tenuità del fatto, cioè della possibilità, contemplata dall’art. 131-bis del Codice penale, di assolvere l’imputato sulla base del minor allarme sociale caratterizzante la sua condotta.
Con la sentenza di primo grado, era stata già riconosciuta la tenuità del fatto, per la mancanza di danni, per le modalità dell’azione non eccessivamente pericolose, per la lieve intensità dell’elemento psicologico e per la mancanza di precedenti penali del soggetto imputato.
In sede di impugnazione, però, la Corte d’Appello aveva espresso un parere totalmente opposto, ribaltando la sentenza di primo grado. In tale circostanza, i giudici avevano ritenuto che l’offesa arrecata dall’imputato non potesse essere valutata come lieve, perché lesiva di beni giuridici di straordinaria importanza, come la fede pubblica, il patrimonio pubblico e l’efficienza e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.
La Corte di Cassazione, infine, ha ritenuto inammissibile la posizione del giudice d’appello.
A prescindere dal fatto concreto, la sentenza della Cassazione è fondamentale perché pone l’accento sulla possibile sussistenza del principio della tenuità del fatto in fattispecie simili.
Anche se un cittadino compie atti scorretti e disonesti nei confronti della Pubblica Amministrazione, non sempre deve essergli riservata la pena più severa.
Per questo motivo, questa decisione potrebbe divenire un importante precedente nelle ipotesi di accuse per dichiarazioni reddituali false all’INPS al fine di usufruire di sussidi e agevolazioni economiche.
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