Il Governo Meloni ha attivato delle misure straordinarie a favore delle madri lavoratrici, che vedranno buste paga più alte.
Infatti, come annunciato dallo stesso premier, si è pensato di attivare sgravi contributivi per le mamme che lavorano, innescando di conseguenza un aumento in busta paga.
Purtroppo, come spesso accade per le azioni del Governo, “non è tutto oro quel che luccica”, infatti alcune madri che lavorano potranno beneficiare di questo vantaggio, ma altre saranno escluse a priori. Ecco perché.
Come sapere se si rientra tra le madri lavoratrici che avranno un aumento di stipendio
Abbiamo detto che sono in essere alcune misure atte a favorire le nascite e a facilitare la vita lavorativa delle mamme, anche con aumenti di stipendio.
Ma proprio guardando ai chiarimenti dell’INPS, questi benefit non spettano a tutte le donne e madri che lavorano. Infatti la decontribuzione al 100% è prevista solamente per le madri lavoratrici che lavorano come dipendenti e hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’altro requisito è avere almeno 2 figli, di cui uno fino a 10 anni di età.
Questo benefit sarà in essere fino al 2024, e si prolungherà fino al 2026 solo se la madre lavoratrice ha almeno 3 figli, di cui il più piccolo fino a 18 anni.
Resteranno escluse dunque tutte le madri lavoratrici che hanno un solo figlio, o chi lavora con contratto di lavoro a tempo determinato (cosa molto frequente perché le aziende preferiscono prolungare i contratti a termine fino al massimo consentito dalla Legge), e saranno escluse anche le madri lavoratrici che pur avendo 2 o 3 figli sono impiegate nel lavoro domestico subordinato.
Gli sgravi contributivi porteranno, alle poche fortunate che rientrano nei requisiti, al 100% della quota di contribuzione a carico della lavoratrice ma nel limite massimo annuo di 3.000 euro e ad un aumento in busta paga di circa 60-70 euro che possono arrivare anche a 100 al mese.
Di contro, anche con questi lievi aumenti, la madre lavoratrice beneficiaria dello sgravio dovrà fare i conti con gli aumenti dell’Iva inerenti prodotti d’igiene intima femminile, pannolini per neonati, seggiolini per bimbi e altri.
La decisione della Meloni di aumentare/raddoppiare l’Iva sui suddetti prodotti è scaturita, tra l’altro, dal fatto che gli aumenti dei prezzi hanno vanificato il risparmio. Dunque i padri e le madri continueranno a pagare sempre di più anche i prodotti per l’infanzia.
Incentivi, dunque, che non convincono, che non sono sufficienti a combattere inflazione e speculazione e che soprattutto creano discriminazione tra determinati tipi di madri lavoratrici e altre.