Gli scienziati hanno dimostrato quali sono i comportamenti del cervello umano durante la somministrazione dei farmaci anestetici. La scoperta è assurda.
Il cervello umano si spegne nel momento in cui ci sottoponiamo a una comune anestesia? Un gruppo di scienziati ha identificato il meccanismo che instaura un comune farmaco anestetico e la causa della conseguente perdita di coscienza.
Questa categoria di farmaco, infatti, determina lo spegnimento dei neuroni del talamo, che sono responsabili dell’invio delle recezioni sensoriali alla corteccia cerebrale. Si tratta di una fondamentale scoperta, perché consente di capire quali sono gli elementi biologici della coscienza.
Per tantissimi anni, i ricercatori si sono interrogati sul reale funzionamento degli anestetici e sui loro effetti sul cervello, soprattutto in relazione alla possibilità che possano effettivamente mettere la coscienza in stand-by. Capire il processo che si instaura è di vitale importanza anche per migliorare l’efficienza dei farmaci e favorire la diffusione di prodotti all’avanguardia. Ma analizziamo lo studio compiuto da un gruppo di ricercatori statunitensi e scopriamo perché potrebbe spalancare le porte a nuove frontiere della medicina.
L’anestesia rappresenta un’importantissima innovazione nel settore della medicina, perché consente di compiere interventi chirurgici invasivi. Finora, però, era considerata un mistero la modalità in cui tali farmaci agivano sul cervello umano.
Si sa, infatti, che l’anestesia generale pone il paziente in una situazione di incoscienza cerebrale, ma un recente studio ha mostrato come, in realtà, non determina un semplice stato di inattività cerebrale. Il cervello non sarebbe “spento”, ma risulterebbe esposto ad alcuni cambiamenti drastici.
Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista “Nature Communications” dagli scienziati dell’Università del Michigan, i farmaci anestetici agirebbero a livello del talamo, ossia la struttura situata nella parte centrale del cervello e preposta alla ricezione degli input sensoriali.
Alcuni volontari si sono sottoposti a una risonanza magnetica funzionale e hanno permesso ai ricercatori di sviluppare una mappa dei cambiamenti cerebrali prima, durante e dopo la sedazione tramite l’anestetico Propofol. Dall’esperimento è emerso che, nella fase della sedazione profonda, avviene una significativa riduzione dell’attività da parte delle cellule del talamo (le cd. cellule della matrice), che hanno il compito di mandare le informazioni sensoriali alla parte superiore della corteccia cerebrale.
Di conseguenza, gli input sensoriali vengono ricevuti anche durante l’effetto del farmaco anestetico ma non vengono integrati e rielaborati. I ricercatori hanno scoperto anche che il neurotrasmettitore inibitorio GABA, che viene considerato essenziale per l’azione del Propofol, non è così importante come si pensava.
Nel momento in cui svanisce l’effetto dell’anestesia, poi, vengono riattivate le connessioni tra le varie aree del cervello e l’organo si riaccende, con un ritorno progressivo della coscienza.
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