La Corte di Cassazione ha introdotto un fondamentale principio in materia di permessi Legge 104, chiarendo quando si verificano gli abusi.
I permessi lavorativi previsti dalla Legge n. 104/1992 in favore dei lavoratori dipendenti caregivers, che assistono un familiare disabile grave, sono una delle agevolazioni più amate e utilizzate. Permettono, infatti, di assentarsi dal lavoro e continuare a percepire il normale stipendio.
In particolare, i beneficiari possono usufruire di tre giorni al mese di permesso, frazionabili anche in ore. Si tratta di una misura di fondamentale importanza, perché consente di conciliare lo svolgimento dell’attività lavorativa con l’adempimento degli obblighi di cura e assistenza.
Spesso, tuttavia, tali permessi suscitano una serie di perplessità tra i beneficiari. Più volte è stato necessario l’intervento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, per chiarire il corretto utilizzo dello strumento, nel rispetto degli obblighi che gravano sui lavoratori. Un uso illecito dell’agevolazione, infatti, può sfociare nel licenziamento. Di recente, la Suprema Corte ha ribadito quali sono le attività che il lavoratore in permesso può compiere, senza rischiare problemi con il datore di lavoro.
Con l’ordinanza n. 26417 del 10 ottobre 2024, i giudici della Corte di Cassazione hanno specificato quali sono i criteri per valutare la liceità di un’attività svolta durante la fruizione dei permessi 104, da parte del lavoratore dipendente caregiver.
La vicenda analizzata riguardava una dipendente di un supermercato che era stata spiata, tramite un detective privato, dal proprio datore di lavoro durante i giorni di permesso. L’intento era scoprire cosa facesse la lavoratrice durante l’assenza dal lavoro e se effettivamente prestasse assistenza al padre invalido.
Dai pedinamenti, era emerso che la donna si recava per una frazione della giornata dal familiare e, nelle rimanenti ore, svolgeva altre attività. Per tale motivo, era stata oggetto di licenziamento disciplinare, per abuso dei permessi Legge 104.
L’interessata ha deciso di impugnare la decisione del datore di lavoro, ottenendo la vittoria in tutti e tre i gradi di giudizio. Il datore, dunque, è stato costretto a reintegrarla sul posto di lavoro. Per quale motivo? Perché la donna ha dimostrato che tutte le attività compiute durante i giorni di permesso erano funzionali all’assistenza del padre disabile, come recarsi all’Ufficio postale o in farmacia oppure andare a fare la spesa.
La Corte di Cassazione ha sottolineato che l’attività di cura del caregiver si sostanzia non solo nell’assistenza diretta e nella presenza fisica nella casa del disabile, ma anche in attività svolte all’esterno, nell’interesse dell’assistito, soprattutto se quest’ultimo non può compierle in autonomia. In conclusione, l’abuso nella fruizione dei permessi 104 sussiste soltanto quanto il lavoratore se ne serve per compiere azioni che non hanno alcun nesso con la cura del disabile.
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