La revoca dalla rottamazione-ter potrebbe portare a numerosi fallimenti. E la responsabilità è della stessa Agenzia delle Entrate.
La rottamazione non è stata confermata. Le imprese, dunque, rischiano di non riuscite a pagare le rate delle imposte pregresse e sospese dalla disciplina legislativa di emergenza Covid.
Ben 500mila imprese, il 43% dei contribuenti, senza alcun tipo di preavviso, hanno ricevuto al notifica, tramite Pec, delle ingiunzioni di pagamento dell’importo residuo dovuto (comprendente sanzioni ed interessi). L’ingiunzione intima il pagamento delle passività entro il termine perentorio di 5 giorni, senza alcuna opzione di dilazione. L’art. 3, co.14, lettera b) del dl 119/2018, infatti, sancisce che non è possibile la rateizzazione del debito residuo. Al termine dei 5 giorni, seguiranno i procedimenti esecutivi e cautelari (ipoteche, pignoramenti e fermi amministrativi).
L’elevato pericolo per le aziende
La situazione è molto delicata e complessa. Le aziende stanno esaminando tutti i possibili metodi per evitate le azioni esecutive e riuscire a pagare a saldo e stralcio il debito.
In realtà, la maggior parte dei contribuenti sta affrontando difficoltà relative agli adempimenti, per il mancato rinnovo della rottamazione-ter. Le imprese devono, inaspettatamente, fare i conti con tributi molto elevati. La soluzione prospettabile sarebbe una: avvalersi di strumenti extra tributari, che consentano l’arresto delle azioni esecutive e la riduzione delle sanzioni.
Si sta prendendo in considerazione anche l’uso della transazione fiscale stabilita dall’art. 182 ter Legge fallimentare. In tal caso, però, si instaurerebbe una procedura di concordato preventivo o ci sarebbe la richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
La Cnc a tutela degli imprenditori
Le aziende impossibilitate a saldare immediatamente i debiti, stanno elaborando un metodo per evitare l’arresto della propria attività.
In tal senso, il Governo ha introdotto uno strumento di tutela per le imprese in crisi finanziaria, la Composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa (Cnc), per consentire all’imprenditore di richiedere la nomina di un esperto esterno, che negozi con i creditori.
L’imprenditore può, inoltre, esigere delle misure che proteggano il suo patrimonio. Può, infatti, richiedere l’arresto delle procedure esecutive e la sospensione dei pagamenti dei debiti preesistenti.
Per usufruire di tale strumento, dovrà essere iscritta l’istanza e l’accettazione dell’esperto nominato nel Registro delle imprese. Da tale momento, i creditori non potranno esercitare azioni esecutive e cautelari sul patrimonio o sui beni attraverso i quali viene esercitata l’attività d’impresa.
Difficoltà della procedura della Cnc
Non è, tuttavia, facile ricorrere alla procedura della Cnc, perché la richiesta di nomina dell’esperto deve essere accompagnata da una fitta e puntuale documentazione. Devono essere allegate, ad esempio, dei certificati emessi dalla stessa Agenzia delle entrate, il cui rilascio richiede ben 45 giorni. La tutela offerta dalla Cnc, dunque, non è sempre efficace.
A questo si affianca il dettagliato controllo da parte dei tribunali dei requisiti per accedere agli strumenti protettivi.
Il concordato preventivo
Per evitare di perdere tempo, le aziende hanno a disposizione un meccanismo di protezione alternativo: il Concordato preventivo con riserva (Cpr), ai sensi dell’art. 161, comma 6, Legge fallimentare. Secondo tale dispositivo, con un’istanza molto più celere, entro 24 ore dal deposito in cancelleria del ricorso, è possibile vietare le azioni esecutive. Dopo il deposito, l’istanza di Cpr va iscritta dal cancelliere nel Registro delle imprese e, da tale momento, produce automaticamente effetti. Tali effetti riguardano anche l’Agenzia delle entrate e della riscossione.
Attraverso il Cpr si può anche richiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, come alternativa alla prosecuzione del concordato preventivo. In tutte e due le ipotesi, si può suggerire la transazione contributiva e dei debiti erariali, attraverso la quale si ottiene lo stralcio sino alla misura non inferiore a quanto il fisco e gli enti previdenziali otterrebbero in caso di fallimento.