Covid e memoria, sembra che ci sia una connessione sui pazienti guariti anche dopo molti mesi. Che cosa è la “nebbia mentale”?
Fra pochi giorni in Italia terminerà lo stato di emergenza dovuto alla pandemia che per due anni ha controllato l’economia, la salute e la vita di tutti. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Già un recente studio, pubblicato sulla rivista “Nature”, avrebbe dimostrato alcune conseguenze negative del Covid-19 per i pazienti guariti. Udito, olfatto e memoria queste alcune zone del cervello che secondo i ricercatori di Oxford (Regno Unito) avrebbero subito maggiore danno.
Le ricerche non hanno ancora chiarito se questi i danni saranno irreversibili oppure quali implicazioni potranno avere sulla vita dei pazienti guariti. Un recente studio ha evidenziato che l’uso di determinati farmaci può causare un deficit della memoria fino alla demenza. Già in precedenza i farmaci, oggetto della ricerca, destavano preoccupazioni, in quanto il loro abuso potrebbe causare il cancro al colon, secondo la scienza esiste un legame.
Covid e memoria, la “nebbia mentale” non sparisce
Numerosi sono i ricercatori che invece studiano la cosiddetta “nebbia mentale” causata dal Covid e che si evidenzia soprattutto sulla memoria dei pazienti guariti. Anche in quelli che presentavano sintomi lievi e che non hanno avuto bisogno di un ricovero in ospedale.
I sintomi sono stanchezza mentale, sonnolenza, affaticamento, mancanza di energia, debolezza muscolare, difficoltà di concentrazione. Addirittura, chi ne soffre a difficoltà a guidare la macchina, a lavorare oppure a fare la spesa. Circa il 30% delle persone che hanno contratto il coronavirus soffre di questo problema.
Uno studio, eseguito dal Centro “Aldo Ravelli” del dipartimento di Scienze della Salute dell’Università degli Studi di Milano non lascia dubbi. Questa nebbia dopo un anno si dirada, ma non sparisce. Hanno partecipato alla ricerca anche l’Azienda sanitaria della Regione Lombardia e l’istituto Auxologico Italiano IRCCS
I risultati, pubblicati sulla rivista “European Journal of Neurology“, prendendo in esame 76 pazienti. Ricoverati presso l’ASST Santi Paolo e Carlo e sottoposti a terapie con ossigeno in base alla gravità, i ricercatori hanno evidenziato che dopo 5 mesi dalle dimissioni il 63% dei pazienti avrebbe manifestato problemi cognitivi. Dopo un anno, i disturbi erano presenti solo nel 50% dei pazienti. Quindi, i sintomi sembrano reversibili.
Le conclusioni
Roberta Ferrucci, docente di Psicobiologia e Psicologia fisiologica alla Statale di Milano spiega che questo studio dimostra “che i deficit cognitivi come il rallentamento mentale e le difficoltà di memoria possono essere osservati anche dopo un anno dal contagio e potrebbero interferire con il lavoro e la vita quotidiana”.
Inoltre, afferma che una riabilitazione cognitiva è fondamentale “sui pazienti più giovani che potrebbero avere implicazioni sociali e lavorative significative, e sperimentare un aumento dell’affaticamento mentale e dello stress”.
Anche Alberto Priori, direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Milano, conferma che i dati dello studio sono molto importanti. Infatti, come spiega, “evidenziano la necessità di valutare attentamente la progressione a lungo termine sia dei disturbi fisici che cognitivi nei pazienti post COVID-19, per questo presso l’Ospedale San Paolo è stato attivato un ambulatorio specialistico/specifico per il Long Covid”.
(Le informazioni presenti in questo articolo hanno esclusivamente scopo divulgativo e riguardano studi scientifici pubblicati su riviste mediche. Pertanto, non sostituiscono il consulto del medico o dello specialista, e non devono essere considerate per formulare trattamenti o diagnosi).