Opzione donna e pensione di reversibilità, quale penalizzazione si rischia e se conviene davvero

Opzione donna permette di uscire prima dal lavoro per godersi qualche anno di pensione in più. Un caso pratico che merita attenzione.

Opzione donna è un trattamento pensionistico riservato alle lavoratrici dipendenti e autonome in presenza di determinati requisiti. I rapporti con l’eventuale pensione di reversibilità.

OPZIONE DONNA
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Come noto, l’opzione donna consiste in un trattamento pensionistico, calcolato in base al sistema contributivo, che comporta la possibilità per le lavoratrici donne (dipendenti e autonome) di anticipare l’uscita dal lavoro andando prima in pensione, in presenza di specifici requisiti.

Ebbene, nella maggioranza dei casi pratici l’opzione donna implica l’accettazione di una diminuzione della misura della pensione, legata alla considerazione per cui l’assegno è calcolato del tutto con il sistema contributivo.

Secondo gli esperti in materia previdenziale, la decurtazione per una lavoratrice si aggira più o meno intorno al 20-25%, rispetto alle regole del sistema misto.

Pertanto l’opzione donna va valutata con estrema attenzione dalla lavoratrice. Ciò specialmente laddove abbiano rilievo elementi esterni rispetto alla specifica situazione previdenziale in gioco. Vediamo più nel dettaglio.

Opzione donna: il caso concreto

Lo abbiamo appena accennato: nella decisione – da cui non si può peraltro tornare indietro – è opportuno prendere in considerazione anche altri fattori rispetto al mero importo dell’assegno pensionistico. In altre parole, la futura pensionata farà bene a tener conto dell’importanza di alcune situazioni particolari, che potrebbero attenuare o compensare l’effetto della diminuzione del reddito pensionistico.

Pensiamo alla circostanza, di certo non infrequente, della donna vedova e percettrice della cd. pensione di reversibilità. Ebbene, la presenza di una pensione ai superstiti ha indubbio rilievo in tema di esercizio eventuale dell’opzione donna. Il perché non è difficile da spiegare.

Ad esempio, vediamo il caso della titolarità di una pensione ai superstiti per chi:

  • è una lavoratrice del settore pubblico;
  • destinataria di una pensione di reversibilità erogata a seguito della scomparsa del coniuge.

Sulla scorta delle norme vigenti, possiamo affermare che la donna del nostro esempio pratico è in possesso degli effettivi requisiti per aderire alla pensione con opzione donna:

  • essendo nata entro il 31 dicembre 1961;
  • avendo raggiunto 35 anni di contributi entro fine 2019.

In sintesi, se questa persona andasse in pensione con opzione donna sarebbe gravata da una riduzione consistente del reddito pensionistico, che sarebbe di poco sotto a 20mila euro, ma comunque ben lontano dai 25 mila euro che potrebbe percepire se proseguisse il rapporto per un paio d’anni (senza esercitare opzione donna).

Pensione ai superstiti: gli effetti

Nel caso che vogliamo qui analizzare, notiamo che la donna incassa nel frattempo una pensione di reversibilità che, per la presenza di altri redditi da lavoro, è stata diminuita dall’INPS in misura corrispondente al 25% a causa dell’incumulabilità di questa con lo stipendio.

Infatti, le pensioni ai superstiti sono abbassate:

  • del 25% se il titolare percepisce altri redditi al di fuori della pensione ai superstiti al di sopra di 3 volte il trattamento minimo del fondo pensioni lavoratori dipendenti;
  • del 40% se i redditi sono superiori di 4 volte l’indicato trattamento minimo;
  • del 50% se i redditi sono superiori di 5 volte il menzionato trattamento minimo.

Alla luce di ciò, le situazioni che possono presentarsi sono due, alternative l’una all’altra:

  • se la donna scegliesse di non lasciare il servizio in via anticipata, prenderebbe un assegno più alto – conservando però la riduzione sulla pensione di reversibilità;
  • se invece lasciasse il servizio con opzione donna, l’ammontare della pensione di reversibilità potrebbe essere versato in modo pieno, essendo la pensione con opzione donna al di sotto dei 20mila euro annui.

In quest’ultimo caso, dunque, un’ampia parte della riduzione patita dalla lavoratrice con il passaggio al sistema contributivo potrebbe essere recuperata attraverso l’eliminazione della quota di incumulabilità per redditi sulla pensione di reversibilità.

Ecco perché si può di certo affermare che la reversibilità è in grado di compensare la riduzione dell’assegno pensionistico. Resta comunque il fatto che la scelta è assolutamente discrezionale e spetterà ovviamente alla donna lavoratrice avente i requisiti sopra accennati.

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