Il pensionamento d’ufficio è un istituto tipico del pubblico impiego e può essere sia obbligatorio che facoltativo.
Le norme vigenti in tema di pensionamento d’ufficio nel pubblico impiego prevedono che con specifici requisiti anagrafici e/o contributivi l’ente possa o debba collocare in pensione il dipendente in servizio.
La legge consente il pensionamento d’ufficio a 65 anni per coloro che lavorano all’interno della PA e che hanno già maturato il diritto a pensione.
Di ciò si trova traccia nella riforma della PA, ossia la legge n. 90 del 2014 – recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari. In buona sostanza, al raggiungimento dei 65 anni di età o comunque entro il limite di cui all’ordinamento dell’amministrazione di riferimento, l’ente pubblico può scegliere di risolvere il rapporto di lavoro del dipendente in maniera volontaria e unilaterale. Ciò è patto che questi abbia però conseguito il diritto al trattamento pensionistico.
Vediamo allora un po’ più da vicino come funziona il pensionamento d’ufficio e perché è importante comprenderne il meccanismo.
Pensionamento d’ufficio: le norme vigenti e la spinta al turn over nella PA
Le modifiche alle norme relative al pubblico impiego, intervenute grazie ai dl n. 101 del 2013 e n. 90 dell’anno successivo hanno determinato un nuovo scenario sul fronte della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte delle PA.
Di fatto in discontinuità rispetto a quanto previsto nella riforma Fornero, i suddetti decreti sono stati redatti anche allo scopo di circoscrivere la possibilità di continuare il rapporto di lavoro, dopo il compimento dell’età pensionabile per i lavoratori della PA. L’intenzione è evidentemente anche quella di favorire il turn over negli uffici pubblici.
Come è stato perseguito l’obiettivo? In due maniere differenti:
- cancellando il trattenimento in servizio, vale a dire l’istituto che permetteva di restare per altri 2 anni sul posto di lavoro dopo l’età per il pensionamento;
- rendendo strutturale la possibilità di risolvere in via unilaterale il rapporto di lavoro nei confronti dei lavoratori che hanno toccato la massima anzianità contributiva (vale a dire 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).
A ciò si aggiunge che il limite stabilito dalle norme per la permanenza in servizio (generalmente 65 anni di età anagrafica) può essere superato soltanto per permettere al lavoratore il perfezionamento del diritto al trattamento pensionistico.
Ricordiamo altresì che il pensionamento d’ufficio vale al compimento del 70° anno di età – e non del 65° – verso i magistrati, gli avvocati, i procuratori dello stato e i professori universitari giacché, nei loro confronti, il limite di permanenza in servizio è maggiore di 5 anni rispetto alla generalità degli altri dipendenti della PA.
Pensionamento d’ufficio obbligatorio: l’età di riferimento e il requisito contributivo
Il Ministero per la semplificazione e la PA nel 2015 ha peraltro emesso una circolare che fa definitiva chiarezza sulle regole da applicare, per quanto attiene alla soppressione del trattenimento in servizio e alla modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro. Grazie a questo provvedimento oggi non vi sono particolari dubbi per quanto attiene al limiti e alle modalità di esercizio del potere di pensionamento d’ufficio verso coloro che sono alle dipendenze della PA.
Ebbene, la situazione odierna è in sintesi la seguente:
- le PA devono disporre il pensionamento d’ufficio a 65 anni, nel raggiungimento del limite ordinamentale per la permanenza in servizio, nei confronti di tutti coloro che a questa età hanno maturato un qualsiasi diritto a pensione (pensiamo ad es. ai dipendenti che hanno maturato la massima anzianità contributiva);
- altrimenti il rapporto di lavoro continua fino all’età per la vecchiaia, vale a dire 67 anni (pensione di vecchiaia);
- dopo questa data il rapporto non può proseguire oltre, tranne il caso nel quale il lavoratore non abbia ancora maturato i 20 anni di contributi, e ci riferiamo ovviamente al requisito contributivo che serve ad accedere alla pensione di vecchiaia.
Nelle ultime circostanze ricordate sussiste in via eccezionale la facoltà di proseguimento dell’impiego fino all’età di 71 anni se detto prolungamento permette al dipendente pubblico di conseguire il requisito contributivo per la pensione di vecchiaia – appunto i 20 anni di contributi.
Quando occorre la motivazione?
Il sopra menzionato decreto legge n. 90 del 2014 include altresì una norma che permette alle PA di disporre la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro con il dipendente pubblico, ma in anticipo rispetto ai limiti ordinamentali. Ciò vale soltanto a condizione che la scelta dell’ente corrisponda a specifiche esigenze interne di ambito organizzativo.
In dette circostanze il pensionamento d’ufficio:
- deve essere motivato verso il dipendente con riferimento alle ragioni organizzative e ai criteri di scelta usati;
- può essere fatto valere soltanto nei confronti dei lavoratori che abbiano conseguito la massima anzianità contributiva (vale a dire a 42 anni e 10 mesi di contributi se uomini, 41 anni e 10 mesi se donne);
- può essere disposto se la PA dà un congruo preavviso di sei mesi al dipendente.
Perciò ci appare del tutto evidente che il pensionamento d’ufficio facoltativo è valevole entro specifici limiti.