Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale si parla concretamente del rischio di una guerra in territorio europeo.
Il conflitto fra Russia e Ucraina sta mettendo paura un po’ tutti nel Vecchio Continente. E in Italia molti si stanno domandando: ma se scoppiasse un conflitto chi dovrebbe andare in guerra?
In questo articolo cercheremo di rispondere a questa, angosciante, domanda sperando ovviamente che la questione resti solo teorica. Facendo tutti i debiti scongiuri se ci fosse una chiamata alle armi per un conflitto chi verrebbe richiamato? E sarebbe possibile dire di no? Intanto, dilaga la paura nucleare ed è corsa al bunker in Italia: lista dei rifugi per salvarsi in caso di attacco
Un nostro intervento militare se attaccassero un Paese della NATO
Se Putin, o un altro Paese aggredisse una nazione membro della NATO. L’Italia dovrebbe mandare delle truppe. E’ quanto prevede infatti l’’art. 5 dell’Alleanza Atlantica (nata nel 1949) affermando che in caso di un “attacco armato” ad uno Stato membro, gli altri membri dovranno intervenire in suo sostegno, anche militarmente.
Cosa dice al riguardo la nostra Costituzione
Per capire come stanno davvero le cose su questo delicatissimo argomento bisogna partire da quelle che sono le “fonti” del diritto italiano vale a dire la nostra. In particolare l’articolo 11 sancisce che: “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.
Bisogna partire da questo articolo per capire cosa potrebbe accadere in rapporto a quanto sta accadendo in Ucraina. In altre parole l’articolo in questione afferma che il nostro Paese non può mai far uso di un intervento militare per ledere la libertà degli altri popoli, oppure come mezzo di soluzione di conflitti.
Le cose cambiano decisamente nel caso in cui l’Italia dovesse essere attaccata e quindi bisognerebbe difendere il suolo patrio. Un attacco al nostro territorio dunque, farebbe subito entrare il nostro Paese in uno stato di guerra. Ma, ad oggi, sembra davvero uno scenario molto difficile da considerare.
Ma chi dovrebbe armarsi e partire per il fronte in caso di attacco?
Per capire chi dovrebbe partire per il fronte in caso di attacco al nostro territorio dobbiamo ancora fare riferimento alla Costituzione Italiana, in modo particolare all’articolo 52, in cui il comma 1 afferma: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”.
Una disposizione laconica e molto chiara: la difesa dei confini italiani rappresenta un dovere primario per i cittadini, che viene prima di ogni altra cosa. Ma bisogna approfondire per capire meglio leggendo il 2° comma dell’articolo in questione che in realtà rimanda nel dettaglio a quanto stabilito dalla legge: “Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici”.
Attualmente sul tema la legge di riferimento è la n° 226 del 23 agosto del 2004 che ha sospeso (e non abolito come si sente spesso affermare in modo erroneo) quest’obbligo, introducendo, con il Governo d’Alema, delle disposizioni circa la “sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore”.
Un Esercito di professionisti da oltre venti anni
Da oltre venti anni l’Esercito Italiano è una Forza Armata di professionisti che liberamente scelgono questo tipo di carriera a tutti i livelli dai concorsi per diventare Caporale, Sergente, Maresciallo o Ufficiale.
Ma per capire se l’obbligo di leva, con chiamata alle armi, possa essere ripristinato in caso di guerra, dobbiamo leggere l’articolo 1929 del codice militare, che tratta della “sospensione del servizio obbligatorio di leva e ipotesi di ripristino”. Nel 1° comma si legge che: “le chiamate per lo svolgimento del servizio obbligatorio di leva sono sospese a decorrere dal 1° gennaio 2005”.
Ma il 2° comma afferma il servizio di leva potrebbe anche essere ripristinato tramite decreto del Presidente della Repubblica, su precedente delibera del Consiglio dei Ministri. Questo potrebbe accadere se “il personale volontario in servizio è insufficiente e non è possibile colmare le vacanze di organico in funzione delle predisposizioni di mobilitazione”.
Ma chi verrebbe toccato da questo rientro alle armi? La “chiamata” riguarderebbe “il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni”.
E i civili potrebbero essere arruolati?
Pur nelle more della sospensione della leva militare, sono rimaste in vigore le cosiddette liste di leva, nelle quali vengono iscritti tutti i cittadini maschi che abbiano compiuto i 17 anni di età. Queste liste sono gestite dalle anagrafi dei vari comuni del nostro Paese.
Quindi se il servizio di leva obbligatoria fosse ripristinato i vari distretti militari farebbero riferimento a queste liste chiamando gli uomini di età compresa fra i 18 e i 45 anni per la visita di controllo nel corso della quale si sancirebbe se la persona sia “idonea”, “rivedibile” o “riformata”.