La demenza e il declino cerebrale si manifestano in tanti modi. Secondo un recente studio, chi è a rischio Alzheimer cambia la sua calligrafia.
Sono davvero molti i segnali che il nostro corpo ci invia. Forse siamo abituati a riconoscere quelli più fondamentali, come la fame, il sonno, o lo stress. Ma non quelli che vogliono dirci che è in atto un problema di salute. Fortunatamente, grazie al lavoro di esperti e scienziati, oggi possiamo anche capire se il nostro cervello è in sofferenza.
Quado si parla di Alzheimer ci immaginiamo subito le persone anziane. Certo è che questa condizione a carattere degenerativo colpisce soprattutto dopo una certa età. Ma non ne sono totalmente esenti i giovani, anzi. Anche perché il declino cognitivo può iniziare molto presto, e manifestare la forma più grave dopo tanti anni.
Ad esempio alcuni studi recenti hanno dimostrato che una carenza da Vitamina B12 può portare a danni cerebrali irreversibili. Dunque non solo l’Alzheimer, ma molti altri problemi possono minare la salute del nostro sistema nervoso. In questo articolo parliamo di un’altra scoperta, che ci insegna come riconoscere precocemente la comparsa di declino cognitivo.
Calligrafia e rischio Alzheimer, dov’è la correlazione e a quali altri sintomi dobbiamo stare attenti
Come sappiamo, ad oggi non esiste una cura specifica e totalmente risolutiva per l’Alzheimer. Ma possiamo contare molto sulla prevenzione e sulla diagnosi precoce. riuscire a fermare il più possibile il fenomeno può migliorare sensibilmente la qualità della vita del paziente colpito da demenza.
I sintomi più eclatanti li conosciamo: confusione, perdita di memoria e di coordinazione dei movimenti. Ma quando si manifestano questi effetti, significa che la malattia è già molto avanti. Alcuni studi di rilievo ci insegnano però a riconoscere alcune “spie” cui magari non presteremmo attenzione. Una di queste è il modo di scrivere.
Cambiamento nella calligrafia e rischio Alzheimer
Premettendo che ormai scrivere a penna è diventata un’abitudine rara, possiamo però divulgare quanto scoperto da Eric Rodriguez, il co-fondatore e CEO di “Innerbody Research“, una realtà che si occupa di prodotti, servizi e guide sulla salute.
L’atrofia e l’aprassia, che si innescano quando le cellule del cervello non si riproducono più correttamente a causa della demenza, possono scatenare vari disagi. Uno di questi è il “dimenticare” ciò che avevamo imparato sullo scrivere. Magari i sintomi non sono eclatanti. Ma anche il solo vedere una scrittura traballante o indecifrabile, o comunque diversa dal nostro solito, deve far riflettere.
Più avanti, quando i danni avanzano, si può addirittura manifestare l’incapacità di scrivere correttamente una parola. O di usarne una che non ha a che vedere col contesto. Rodriguez, in uno dei suoi trattati, dichiara senza mezzi termini che “alla fine, le scritte sembrano più scarabocchi che testi che una volta erano identificati come tuoi.“
Confusione e depressione
I primi sintomi di Alzheimer riguardano ovviamente anche la comunicazione verbale e la formulazione del pensiero. Dobbiamo stare attenti, sempre secondo gli esperti, alle forme di depressione e ovviamente alle manifestazioni eclatanti di “confusione”.
A volte possiamo scambiarli per stress o stanchezza. Invece potrebbero dirci che siamo di fronte ad un declino cognitivo. Anche ripetere i concetti più volte è un chiaro sintomo di problematiche cerebrali. Quando poi si arriva a cambiare il nome delle cose, la malattia è in stadio avanzato.
Parlare col medico è un passo fondamentale per capire se è in atto una malattia
Uno dei problemi che impediscono alla Medicina di intervenire tempestivamente è quello del mancato scambio tra medico e paziente. Magari notiamo qualcosa di strano ma non abbiamo voglia di disturbare il dottore. Oppure pensiamo che “passerà da sé”.
Invece è di fondamentale importanza creare un rapporto di fiducia col nostro medico di famiglia. Comunicargli qualsiasi cosa. In questo modo potremo ridurre moltissimo i rischi di malattie, dell’Alzheimer come di tante altre.
(le informazioni presenti in questo articolo hanno esclusivamente scopo divulgativo e riguardano studi scientifici pubblicati su riviste mediche. Pertanto, non sostituiscono il consulto del medico o dello specialista, e non devono essere considerate per formulare trattamenti o diagnosi)