Andare in pensione prima può essere molto conveniente ma, purtroppo, spesso comporta una penalizzazione sull’assegno.
L’attesa Riforma delle pensioni dovrà essere incentrata anche sulla garanzia di una maggiore flessibilità in uscita. I
Foto Canval pericolo, però, è che il calcolo dell’assegno pensionistico avvenga solo sulla base del sistema contributivo. Questo, purtroppo, creerebbe non pochi disagi per i contribuenti; in tal modo, infatti, si troverebbero a fare i conti con una penalizzazione sull’importo spettante.
Si prospetta, infatti, circa il 9% in meno, nell’ipotesi di pensionamento a 64 anni d’età, invece che a 67. Ma, in realtà, il taglio può arrivare anche al 18%.
Penalizzazione: cosa prevede la Riforma
La ripresa delle trattative tra Governo e sindacati per un’imminente Riforma delle pensioni è un’assoluta priorità per il nostro Paese. Nel 2022, infatti, scadrà Quota 102 e, dunque, si ritornerà (a meno che non ci siano colpi di scena) alla Legge Fornero. Le proposte alternative a quest’ultima normativa, tuttavia, non mancano. I sindacati, infatti, propongono una maggiore flessibilità in uscita, cioè la possibilità di accedere alla pensione prima del compimento dei 67 anni d’età, in base a modalità ancora da definire.
La questione più controversa, però, riguarda il sistema di calcolo dell’assegno pensionistico. Attualmente, infatti, è previsto il computo dell’importo esclusivamente attraverso il sistema contributivo. Tale meccanismo, però, genera una penalizzazione non indifferente sulla quota annuale complessiva. Ma a quanto ammonta, nello specifico, tale penalizzazione?
Le differenze tra sistema retributivo, misto e contributivo
I pensionati maggiormente interessati alle riduzioni sono quelli con una pensione compresa tra i 600 ed i 2.000 euro al mese. In realtà, già da qualche anno, sono pochi coloro che percepiscono un assegno calcolato interamente col sistema retributivo, cioè quello fondato sulle ultime retribuzioni percepite prima del pensionamento. Alla maggior parte dei pensionati, infatti, si applica il sistema misto, ossia in parte retributivo ed in parte contributivo. I lavoratori che hanno iniziato a versare i contributi dopo il 31 dicembre 1995, invece, devono fare i conti col sistema contributivo puro.
Quest’ultimo meccanismo, però, è penalizzante (rispetto al retributivo), perché si basa solo sui contributi versati al momento della domanda per la pensione e sull’età anagrafica, senza tener conto dei redditi degli ultimi periodi lavorativi.
Cosa succederebbe, dunque, se la futura Riforma prevedesse l’applicazione di tale metodo a tutti i tipi di pensione? Facciamo chiarezza sull’effettiva penalizzazione degli importi.
Riduzioni delle pensioni fino a 360 euro
Secondo le prime indiscrezioni, le proposte prevedono un pensionamento a 64 anni d’età (anche se i sindacati propongono 62), in contrapposizione ai 67 anni necessari attualmente per la pensione di vecchiaia. Inoltre, sarebbe necessario anche il requisito dei 20 anni di contribuzione.
L’unico punto sul quale il Governo sembrerebbe inamovibile è il calcolo completamente contributivo delle quote spettanti. Questo sistema comporterebbe una perdita di circa il 9% per i pensionati, nel caso di congedo a 64 anni.
Ma, in altri casi, secondo gli esperti, il ricalcolo contributivo causerebbe una penalizzazione molto più elevata, corrispondente, addirittura, ad una percentuale compresa tra il 10 ed il 18% all’anno. Ad esempio, su una pensione di 600 euro, la riduzione sarebbe del 10% e, dunque, di 60 euro all’anno. Una pensione di 1.200 euro, invece, subirebbe una penalizzazione del 12%, quindi di 144 euro annui ed, infine, una di 2.000 euro, per mezzo di un taglio del 18%, ne perderebbe 360.