L’invasione di zecche è un fenomeno che quest’anno ha assunto proporzioni preoccupanti. Ecco perché sta succedendo.
In questo momento storico stiamo vivendo situazioni davvero ansiogene. Dopo decenni di relativa “calma su tutti i fronti” sembra si stia scatenando qualcosa di “incontrollabile”.
Basta pensare alla pandemia di Coronavirus, a tutte le malattie che si espandono e colpiscono sempre più persone al mondo. Così come la resistenza agli antibiotici di molti patogeni mortali per l’essere umano. Anche senza sviscerare le dinamiche di politica ed economia globale, impossibile non accorgersi che qualche meccanismo deve essersi “incrinato”.
Tutto ciò, dopo due anni di isolamento forzato non fa certo bene al nostro benessere psichico. Non stupisce, allora, che le persone cerchino rifugio nella Natura. Anche fare due passi, oggi come oggi, può rappresentare una valida “via di salvezza”. Ma ecco che nemmeno un giorno in montagna si rivela “sereno”. Negli ultimi tempi un’invasione di zecche sta mimando la salute di tutti noi.
Ma cosa sta succedendo? Si tratta di un allarmismo infondato? Purtroppo, almeno in questo caso, no. Il fenomeno è reale e nasce da una serie di condizioni ed eventi che l’hanno fatto diventare preoccupante.
Cosa si nasconde dietro l’invasione di zecche
Per chi non lo sapesse, il morso di una zecca può portare gravissime conseguenze. Questi insetti sono portatori di numerosi batteri e virus. Tra questi, quello che causa l’encefalite da zecca, una malattia che può portare anche alla morte.
L’incubazione varia dai 4 ai 28 giorni. Quando si manifesta la forma acuta, compaiono febbre alta, dolori muscolari e mal di gola. In una piccola percentuale di casi, dopo poco viene danneggiato il sistema nervoso centrale. Compaiono encefalite e paralisi. La mortalità di questa malattia arriva al 5%.
Tra il 1974 e il 2003 c’è stato un aumento del 400% dei casi di encefalite da zecca e tra il 1990 e il 2007 sono stati registrati una media annua di 8.755 casi in 19 Paesi europei
Ma non è tutto: quest’anno i casi sono ulteriormente in aumento. Ciò è dovuto principalmente a due fattori. Il primo, purtroppo, è il riscaldamento globale. Le condizioni climatiche attuali favoriscono una riproduzione massiccia di questi insetti. Che di conseguenza colpiscono più persone per nutrirsi, succhiando il sangue.
Un altro fattore, che se ci pensiamo bene è “assurdo”, è l’aumento delle passeggiate all’aperto da parte delle persone. Dopo due anni di restrizioni, gli italiani hanno (ri)cominciato a trovare nella Natura un po’ di conforto. Non mancano, come sempre, gli appassionati di vari sport outdoor e di attività tipiche all’aperto.
Purtroppo, il maggior numero di zecche presenti nelle aree verdi ha innescato questa sorta di nuova “pandemia”.
Cosa possiamo fare dunque? Innanzitutto prestare molta attenzione quando si va all’aperto. Soprattutto chi ha bambini piccoli, le “prede” preferite dalle zecche perché hanno la pelle più facile da aggredire. Bisogna vestirsi adeguatamente, e non lasciare scoperte le gambe. Inoltre, una volta rientrati a casa dobbiamo controllarci accuratamente, per individuare subito l’eventuale presenza di una zecca che ci sta entrando nella pelle.
Esistono vaccini contro le malattie trasmesse dalle zecche
Oltre alle buone pratiche di cui sopra, dobbiamo sapere che da anni esiste un efficace vaccino contro l’encefalite da zecca. Sicuramente è più conosciuto dagli abitanti di Trento, Belluno e Gorizia, perché sono località dove l’encefalite è endemica.
Ma oggi possiamo sfruttare un’arma efficace anche nel resto d’Italia. Basta informarsi presso la propria ASL o dal dottore di famiglia. C’è un vaccino, il FSME/TBE, che può proteggere adulti e anche bambini piccoli.
Unica raccomandazione, dovrebbe essere fatto nei periodi che precedono l’estate. Perché le dosi di somministrazione sono in tutto tre. Deve passare un intervallo di tempo da uno a tre mesi tra le prime due dosi e di almeno nove o dodici mesi tra la seconda e la terza.
La protezione, poi, dura per tre anni ed esiste una vaccinazione pediatrica adatta anche ai bambini da uno a quindici anni di età.