In caso di risarcimento danni, l’ammontare spettante è legato all’immatricolazione? La sentenza della Cassazione chiarisce ogni dubbio.
Una carrozzeria è stata condannata al risarcimento danni dopo un’erronea esecuzione di lavori di abbellimento di un’automobile, nonostante fosse immatricolata da 23 anni.
La Cassazione, tramite l’Ordinanza n. 22254/2022, ha sottolineato che qualora vi fosse un errore durante le opere di abbellimento di un’auto, si ha diritto al risarcimento dei danni. E non importa l’anno di immatricolazione della vettura né il suo valore attuale (che può anche essere pari a zero).
Analizziamo nel dettaglio il provvedimento della Suprema Corte.
Risarcimento danni: la vicenda esaminata dalla Cassazione
La proprietaria di un’automobile chiede a una s.n.c di eseguire dei lavori di abbellimento sul proprio veicolo. La società, però, commette degli errori durante l’esecuzione degli interventi e provoca dei difetti all’auto.
La committente, dunque, decide di agire in giudizio, richiedendo il risarcimento dei danni e la condanna al pagamento delle spese processuali a carico della società. La società, dal proprio conto, si costituisce e contesta la fondatezza della domanda.
Il tribunale condanna la società a risarcire alla proprietaria dell’auto 3.958,20 euro, a pagare 1.100 euro come da nota di credito e a versare le spese di causa. La società appella la sentenza, ma la Corte distrettuale ribadisce quanto statuito dal Tribunale di primo grado; la società, infatti, non aveva dimostrato di aver eseguito correttamente i lavori. Per la Corte d’Appello, la proprietaria dell’automobile ha diritto al risarcimento danni di ammontare pari al costo per l’eliminazione degli errori cagionati dalla società che aveva eseguito i lavori.
Il risarcimento va commisurato al valore dell’auto?
La società ricorre in Cassazione, sollevando ben 5 motivi.
- Ritiene che vi sia stata la violazione degli articoli 1668 e 2226 c.c.. I lavori di miglioramento, infatti, erano stati, in ogni caso, svolti. Per tale motivo, la Corte d’Appello avrebbe dovuto detrarre dalla cifra risarcitoria di 3.958 euro l’importo relativo alla riparazioni per eliminare gli errori; non avrebbe, dunque, dovuto predisporre anche il risarcimento danni. In tal modo, infatti, viene ordinato un doppio risarcimento;
- lamenta il mancato esame di un fatto decisivo. Il primo c.t.u., infatti, aveva ritenuto che, per eliminare i danni, sarebbero stati sufficienti 1.500 euro e che il valore della vettura era pari a zero. Il secondo c.t.u., invece, aveva quantificato il risarcimento in 958,20 euro, senza, tuttavia, tener conto del valore commerciale del veicolo. Non aveva, insomma, considerato la circostanza che lo stesso era immatricolato da 23 anni e che, dunque, la somma risarcitoria era ingiusta;
- rileva l’ingiustificato arricchimento della committente, perché l’ammontare del risarcimento risultava ben maggiore della cifra di 1.500 euro, utile per l’eliminazione dei difetti, e del valore stesso del bene;
- contesta l’assegnazione non richiesta, in favore della proprietaria del veicolo, della somma di 1.100 euro;
- infine, eccepisce la condanna alla restituzione fondata sulla nota di credito, perché la fattura prodotta è “irrilevante ai fini della prova”.
La decisione della Corte
La Cassazione, alla fine, dichiara l’inammissibilità del ricorso. Innanzitutto, il primo motivo è inammissibile perché non si precisa se la duplicazione del risarcimento è dedotta a motivo di gravame oppure no. La Corte di Cassazione, infatti, ha il compito di verificare il rispetto delle norme e dei principi di diritto da parte del giudice di merito. Tuttavia, se una questione non è oggetto del provvedimento impugnato, gli Ermellini non possono pronunciarsi.
Anche il secondo e il terzo motivo sono ritenuti inammissibili dalla Cassazione. L’accertamento del c.t.u. sul valore dell’automobile, infatti, è assolutamente irrilevante ai fini dell’errore commesso. Tra l’altro, il giudizio del c.t.u. riguardava solo la data di immatricolazione della vettura e non teneva conto, invece, che si trattava di un veicolo Tuning; questa caratteristica, al contrario, era stata fatta valere dal secondo c.t.u.
Infine, inammissibili sono anche il quarto e il quinto motivo. In primo grado, infatti, si era già deciso relativamente alla restituzione della cifra nella nota di credito della società il cui capo, non essendo stato impugnato, era passato in giudicato. Per tale ragione, era impossibile ogni questione ad oggetto la spettanza del rimborso.