Conviene andare in pensione a 67 anni con 30 di contributi o a 64 anni più 38 di contributi? Scopriamo qual è la combinazione più ricca.
Un assegno pensionistico dall’importo più elevato è un obiettivo dei lavoratori ma quando uscire dal mondo del lavoro per raggiungerlo?
Il sistema pensionistico italiano non è semplice e lineare. Molti lavoratori si trovano in difficoltà nel capire quando sia il momento più opportuno per andare in pensione. Il timore è sbagliare la tempistica e subire una decurtazione sull’assegno. E perdere soldi in un periodo di rincari non è assolutamente auspicabile. Al di là degli scivoli pensionistici che a breve potrebbero essere modificati o spariti, calcolare ogni tipologia di pensione può rivelarsi complicato. In linea generale il conteggio avviene partendo da due fattori, i contributi maturati e l’età anagrafica. Più contributi si sono versati più alto sarà l’assegno pensionistico. Questo pensiero, in realtà, non è sempre corretto. Le regole sono talmente particolari che può accadere anche l’esatto contrario ossia che 30 anni di contributi garantiscano un importo maggiore rispetto a 38 di contributi.
In pensione al momento giusto, quale combinazione conviene?
Il sistema di calcolo della quiescenza è responsabile dei casi particolari in cui con meno contributi si ottiene una pensione più ricca. Sembra assurdo che chi vanta 30 contributi riceva un assegno pensionistico di importo più elevato rispetto a che ne ha maturati 38 eppure le regole previdenziali italiane determinano questa contraddizione.
La differenza tra carriere dei lavoratori è fondamentale nella definizione della pensione soprattutto con riferimento ai due diversi sistemi di calcolo, retributivo e contributivo. Poi si aggiungono le retribuzioni, gli orari di lavoro, il valore dei contributi versati a intervenire nel conteggio. Chi ha uno stipendio più alto, ad esempio, accumulerà più soldi nel montante contributivo e otterrà una pensione più ricca.
67 anni e 30 di contributi è più vantaggioso di 64 anni e 38 di contributi
Quota 102 rappresenta un caso particolare in cui minori contributi determinano un importo dell’assegno maggiore. Anche l’età, infatti, conta e uscire dal mondo del lavoro a 64 anni invece che 67 significherà dare meno valore ai contributi versati. Questo perché il montante contributivo viene convertito in pensione moltiplicando i coefficienti – età anagrafica e anni di contributi – di trasformazione.
Tali coefficienti risultano più svantaggiosi per i pensionati più giovani. Chi esce dal mondo del lavoro a 64 anni prenderà meno di chi raggiunge il pensionamento a 67 anni pur avendo più anni di contributi.