Condono edilizio a rischio per chi non rispetta tutte le condizioni previste

Un interessante caso pratico finito al Consiglio di Stato fa luce sull’impossibilità di applicare il terzo condono edilizio di cui alla legge n 326 del 2003, se non a precise condizioni.

In molti avranno già sentito parlare di condono edilizio, ovvero un particolare meccanismo con cui i cittadini possono conseguire l’annullamento di una determinata pena o di una sanzione, che è scaturita da un atto illecito.

Condono edilizio
Condono edilizio (Foto InformazioneOggi.it)

Di fatto il condono in quanto tale ha una durata temporale circoscritta, giacché l’atto implica un termine di inizio e fine per poterne approfittare.

Il condono edilizio ha la peculiarità di sanare la realizzazione di opere edificate senza il rispetto delle norme urbanistiche, di fatto evitando così le pene disposte per l’illecito perpetrato. Ed è il legislatore che di volta in volta, in ciascun condono, indica l’oggetto specifico del ‘beneficio’: pensiamo ad es. alle strutture costruite in aree non edificabili.

Qui di seguito appare di speciale interesse il terzo condono edilizio istituito con legge n. 326 del 2003, ovvero una sanatoria che può essere concessa soltanto entro precise condizioni. E di ciò si trova chiara dimostrazione in un provvedimento del Consiglio di Stato di quest’anno. Vediamo più da vicino.

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Terzo condono edilizio: un interessante caso finito nel mirino della giustizia amministrativa

Lo abbiamo appena anticipato: la sentenza n.7348 del 2022 del Consiglio di Stato ha fatto luce sull’applicabilità del terzo condono in relazione ad un ricorso presentato contro un Comune. Quest’ultimo aveva infatti disposto in autotutela l’annullamento dei provvedimenti di condono edilizio riferiti ad alcune unità immobiliari, incluse in un unico fabbricato residenziale. La vicenda muoveva i primi passi non pochi anni fa. L’edificio fu costruito infatti negli anni ’80 e di seguito condonato in base alla legge n. 47 del 1985 (vale a dire il “Primo Condono Edilizio”).

Il punto che qui rileva però riguarda l’applicazione del terzo condono ai sensi della legge n. 326 sopra citata. In particolare, il Comune parte della controversia aveva affermato l’assenza nell’immobile di tompagnature (muri portanti esterni) alla data del luglio 2003: ciò avrebbe impedito l’applicazione del terzo condono edilizio ed infatti l’ente locale aveva annullato in autotutela i titoli abilitativi. In buona sostanza, non avendo avuto completamento, l’immobile sarebbe dovuto restare fuori dal perimetro del condono edilizio.

Si giunse innanzi al giudice amministrativo per verificare se davvero in questo caso non vi fosse spazio per il condono. L’autorità giudiziaria chiese una consulenza tecnica d’ufficio, al fine di fare luce sulla effettiva assenza di tompagnature e di quegli elementi che, se presenti al marzo 2003, avrebbero consentito di sfruttare il terzo condono edilizio. Ben si comprende insomma il rilievo cruciale della perizia disposta dal giudice amministrativo.

Terzo condono edilizio: la CTU è per la tesi della non applicazione del beneficio

Come in tanti altri casi finiti sotto la lente della magistratura, anche in questo caso la CTU si è rivelata essenziale per giungere alla decisione. Ebbene, secondo la relazione finale del CTU, il caso concreto attiene ad un immobile non condonabile, in quanto non era strato possibile ottenere tutti i dati necessari al fine di verificare pienamente il cosiddetto stato dei luoghi.

Non solo. Le opere edilizie che sono state oggetto delle richieste di concessione in sanatoria ex legge 326/2003 a loro tempo presentate, prima accolte e poi respinte con il suddetto provvedimento in autotutela del Comune, non erano condonabili sul piano tecnico – se consideriamo le regole da applicarsi al caso concreto. In particolare, il no al condono edilizio deriva dal fatto che il nuovo volume realizzato in ampliamento oltrepassava di gran lunga l’incremento massimo permesso, ovvero il limite condonabile. Inoltre alla data limite prevista del 31 marzo 2003 le opere che i proprietari avrebbero voluto far condonare, non erano ancora state completate. Detta data è stata fissata come giorno limite dalla legge n. 326 del 2003.

Ecco perché, sulla scorta di quanto nella consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale amministrativo regionale ha scelto di respingere il ricorso contro l’Amministrazione comunale.

Il Consiglio di Stato ha confermato la linea del TAR: no al condono edilizio

I proprietari dell’edificio non si sono arresi, e hanno fatto appello presso il Consiglio di Stato, ma l’esito non è stato differente: la sentenza di questo giudice ha confermato il provvedimento del primo grado.

In questo procedimento sono state decisive alcune foto che hanno acclarato lo stato dei luoghi all’epoca e l’assenza di tutte le condizioni che servono al condono edilizio in base alla legge n. 326 del 2003.

D’altronde il CdS ha ribadito che l’onere della prova circa il completamento dei lavori entro la data per conseguire il condono edilizio grava sul richiedente la sanatoria (il proprietario dell’immobile). Il motivo è molto semplice: soltanto l’interessato può dare inconfutabili atti, documenti ed elementi di dimostrazione dello stato dei luoghi.

Non solo. Per far valere il condono edilizio, la dimostrazione del richiedente in merito alla data di ultimazione dei lavori deve essere data con estremo dettaglio e deve basarsi su un insieme di documenti chiari, circostanziati e recanti elementi oggettivi e verificabili in caso di controlli.

Concludendo e ricapitolando, il ricorso è naufragato perché il giudice ha ritenuto legittimo l’annullamento in autotutela del condono edilizio da parte del Comune, rilasciato anteriormente sulla scorta di dichiarazioni non corrette e non adeguatamente motivate, da parte dei proprietari degli edifici.

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